Roma, Teatro Cometa Off (via Luca della Robbia 47 – Testaccio), dal 5 al 17 aprile 2016
Capita. Ogni tanto capita di imbattersi in uno spettacolo che travalica il senso stesso del termine e si avventura, anche pericolosamente se vogliamo, in terreni scivolosi, sconvenienti al solo nominarli. Matteo 19, 14 – Lasciate che i bambini vengano a me, di Lorenzo Gioielli, in scena al Teatro Cometa Off, ne è un esempio. Lasciare, in meno di un’ora (si, avete capito bene) tanti e tali interrogativi nella mente e nel cuore di chi vi assiste, colpire così a fondo e quasi improvvisamente le certezze costruite dentro di noi, grazie ad un testo e alle interpretazioni a cui è affidato, significa che si è al limite della perfezione. E dispiace non poter scendere nei particolari, perché farlo comporterebbe lo svelamento di ciò che invece va visto, delle mille sorprese di un dialogo tra due sconosciuti in un bar, di assunti demoliti l’uno dall’altro, in un vortice che non lascia respiro, un effetto dòmino che spiazza e, alla fine, sconvolge. Un incontro apparentemente fortuito, tra una donna disperata ed un uomo gentile, pronto a condividere galantemente il peso nascosto da lei. Una confessione lenta, dolorosa, una giovanissima vita da salvare e una madre pronta all’indicibile per farlo. L’uomo ascolta e invita lei a liberarsi di quel peso, affrontando un tortuoso percorso tra il senso del divino e la teoria del determinismo, cinica ma plausibile. E se la domanda, dichiarata, della pièce è “quale crimine sei disposto a commettere per salvare chi ami?”, tantissime altre ne sorgono da quel dialogo sul palcoscenico, da togliere il respiro. Moralità, coscienza, amoralità, immoralità. Questo spettacolo così atipico, potente, che ha il coraggio di affrontare un tema (uno solo?) troppo spesso accantonato forse proprio per la sua scabrosità, è l’esempio di come l’intensità di un testo possa lasciare segni profondi senza tediare il pubblico con ore di pesante immobilità. Matteo 19,14 – lasciate che i bambini vengano a me (frase che assume connotati lugubri in questo caso) è un concentrato esplosivo di quesiti che lo spettatore inevitabilmente si pone, ma da cui infine è travolto. C’è una risposta a quella domanda? Affidata a cosa, alla morale? Quale? I due personaggi, così ben tratteggiati dall’autore, sono affidati alle interpretazioni straordinarie di Riccardo Scarafoni (sua anche la regia) e Veruska Rossi che, dapprima circospette, nel finale piombano sulla platea con la furia di un tornado, capovolgendo ogni certezza nel pubblico ma anche negli stessi. Niente è più così certo, ogni sicurezza barcolla. Da brividi.
Drammaturgia sorprendente, scenografia suggestiva e con l’ausilio fondamentale di foto e videoproiezioni terribilmente significative a cura di Patrizio Cocco, nonché di un disegno luci (Giacomo Cursi) perfettamente aderente a quanto rappresentato. Ad ognuno le sue domande, ad ognuno le sue risposte. Da non perdere, emozionante oltre ogni previsione.
Paolo Leone