Teatro Rossini, Civitanova Marche, 22 aprile 2016
Portella delle Ginestre, onomastica profumata e evocatrice, coraggiosa e allo stesso tempo fragile resistenza, simbolo della natura che si oppone al mondo crudele e distruttivo. Quest’anno finalmente il segreto di Stato decadrà e si potrà fare luce su una delle storie italiane più intriganti e più drammatiche del dopoguerra. Sarà così che conosceremo la vera storia di Salvatore Giuliano, il bandito, il sognatore, rozzo contadino, eroe per lo spazio di un mattino, marionetta nelle mani dei potenti.
E’ una visione lucida, poco agiografica, sulle tracce di una storia pescata tra documenti, filmati d’epoca, studio dei luoghi e perché dei fatti che il musicista siciliano Dino Scuderi, insieme agli autori dei testi Pierpaolo Palladino e Franco Ingrilli, una quindicina d’anni fa, ha deciso di mettere in scena la vicenda umana di Turiddu. Risultato: un’opera musicale moderna, tra le più belle del panorama italiano, che, a distanza di anni, si arricchisce di intenzioni che si svelano, suggerite da musiche che hanno assunto la corposità dei grandi classici.
Ieri sera, al Teatro Rossini di Civitanova, l’ultima confezione proposta dal regista Roberto Rossetti e dalla sua giovane e brillante Compagnia della Marca, compagine di fresca formazione e di decisa autorevolezza. Una scommessa riuscita quella di Roberto Rossetti: affidare la storia di una passione, per sgangherata che fosse, di un giovane innamorato di libertà e imbevuto di passione per quella sua terra dall’odore di mandorle amare a una Compagnia di giovani.
Se l’età non è valore, il respiro di gioventù, l’amarezza di sogni traditi, la gagliarda volontà di rovesciare quel pantagruelico mondo, trova corpo negli interpreti della vicenda di Salvatore Giuliano bandito d’accatto, innamorato del progetto di una Sicilia indipendente, quasi un Garibaldi capovolto, coinvolto in vicende politiche che sono alla base di tanti segreti della nostra Italia postfascista, preso, usato, scaricato e, infine, assassinato dal suo amico più fidato, Gaspare Pisciotta. Una storia “nostra” dall’inizio al suo fantomatico epilogo, storia di scatole nere mai aperte, storia di nostri “miserables” contaminati dall’incontro con politici, giornalisti, uomini d’onore, alta società. Anche la sorella, Mariannina Giuliano, cantastorie tragica imbevuta di amore e di umana sofferenza, cade nella trappola che contamina e promette ma non permette riscatto. Marianna nome omen, come la rappresentazione viva dei valori di Libertà, Uguaglianza, Fraternità, nutrice e protettrice, madre-sorella.
La messa in scena di Roberto Rossetti snocciola la vicenda, scarnificando fino all’essenza la scena, utilizzando il disegno prezioso delle luci come un filtro deformante, narrante o gagliardamente amplificante: Salvatore Giuliano si staglia fino a coprire la volta del Teatro proiettando gli spettatori in una dimensione che è già epopea. La lunghezza del palco tutta è utilizzata come trama narrante, spartito per personaggi, vicende e voci, un quarto Stato senza speranza che vede, di volta in volta, staccarsi dal fondo indistinto e entrare nella storia gli attori della vicenda.
Salvatore Giuliano giganteggia, come nelle intenzioni degli autori, come nell’immaginario dei popoli, giganteggia e gioca, suo malgrado, con una storia che è già tutta scritta sulla sua come sulla pelle dei suoi fratelli di miseria, dalle ruberie, agli assassini di necessità, alla gloria, all’eternità di una morte che nella perfetta ricostruzione della Compagnia della Marca assume la coloritura tragica di una Pietà necessaria. L’impressione più durevole di questa ricostruzione in opera, che spazia dalla dimensione classica ai momenti rock, è la perfetta sincronia del meccanismo scenico, che non lascia spazio a sbavature a indugi sentimentali a lungaggini: una matrioska d’effetto a cui manca solo l’ultima piccola ma fondamentale bambolina, negata da menzogne che offendono la memoria collettiva.
Seducente la partitura che accompagna momenti topici del dramma, dall’Overture, alla Storia è amica a Notti infinite, a Portella delle Ginestre, a Unni mi voto, passando per Davanti ai passi tuoi, in un utilizzo appropriato di lingua e dialetto che contrassegnano, ancora una volta, quel dualismo tra la sanguigna Trinacria e la distante asettica Italia, patria negata.
Francesco Properzi incarna un Salvatore Giuliano di dolore e carne, ingenuità e sogni, delusione e speranze, vocalità perfetta, presenza scenica sostanziosa e corroborante la scena, così come la Mariannina cui dà corpo una eccellente Monia Censi, interprete profonda e coinvolgente, Gaspare Pisciotta è Alessandro Del Forno, valido nell’interpretare l’ambiguità di ruolo, Matteo Monachesi è un convincente, nello sventolare programmi e proclami d’indipendenza siciliana, Finocchiaro Aprile, Enrico Verdicchio è un maresciallo di presenza scenica, Fabio Tartuferi calza con sicurezza i panni di Don Calogero, così come Alessandro Casalino quelli di Nitto Minasola, Matteo Canesin quelli del colonnello, Giulia Ciccarelli quelli della giornalista (spia?) Maria Cyliakus, Cristina Crescini quelli di una surreale contessa.
Ma l’ensemble tutto merita un plauso: Silvia e Ilaria Gattafoni, Benedetta Morichetti, Veronica Settembretti, Sofia Vinciguerra, Andrea Maria, Pietro Micucci, Enrico Cuccaroni che completano un quadro di perfetto insieme che ha in Roberto Rossetti – artista poliedrico noto al grande pubblico per la sua performance nel ruolo della Bestia – il perfetto burattinaio, che ha raccolto gli applausi convinti del Maestro Scuderi arrivato a sorpresa a tributare onore ai giovani performer e del pubblico folto, divertito, commosso, che ha tributato all’opera una standing ovation.
Un burattinaio, Rossetti, di cuore e anima che crede nei progetti importanti, si spende per renderli concreti e veri e merita di proseguire, vento in poppa, la sua avventura artistica alla guida della Compagnia della Marca.
Maria Laura Platania
La Compagnia della Marca
SALVATORE GIULIANO
musical di Dino Scuderi
regia Roberto Rossetti