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A Trieste “John e Joe” di Agota Kristof. Valerio Binasco dirige Nicola Pannelli e Sergio Romano in un testo dalle mille sfaccettature

Data:

Trieste, Il Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Bartoli, dal 19 al 24 aprile 2016

C’è un che di onirico in questa pièce scritta da Agota Kristof nel 1972, la sua prima opera teatrale recitata prima in un’osteria, “al Café du Marché di Neuchâtel dove si esibiscono cabarettisti il venerdì e il sabato dopo cena”, e poi alla radio della Svizzera romanda. In origine in scena si presentavano in tre: oltre ai personaggi del titolo, due clochard che fingono di condurre una vita “normale”, c’era anche il cameriere del bar, ma nell’efficace messinscena di Valerio Binasco, presentata a Trieste al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, egli esiste soltanto attraverso le parole dei protagonisti che a lui si rivolgono e sono i gesti ed i suoni a dar vita agli oggetti portati ai due avventori: il caffè e le grappe.

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Sulla scena ci sono soltanto un telo appeso alle spalle dei due avventori, le sedie sulle quali siedono, un tavolo e una rosa che sembra spuntare da esso, che porta a ricordare quella descritta ne “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry.

Si entra subito in un’atmosfera lieve tenera, naïve; Nicola Pannelli e Sergio Romano evocano, con magica alchimia Stan Laurel e Oliver Hardy, Marcel Marceau, Charlie Chaplin, Totò, creando qualcosa che è allo stesso tempo noto e nuovo, dando al pubblico la possibilità di entrare con dolcezza, anche grazie al perfetto tempismo nei dialoghi interpretati dai due attori, in un mondo di cui conosciamo alcuni aspetti, che ci vive accanto, ma che qui viene raccontato in modo diverso. John e Joe sono stralunati e straniti, estranei alla società evocata dal bar in cui si siedono e alla quale vogliono fingere, per un momento, di appartenere. È la semplicità degli Ultimi; dalle loro parole e dagli atteggiamentiche assumono in questo continuo gioco di specchi, in cui i dialoghi collidono con il loro aspetto e con le loro movenze, ci mostrano la realtà della condizione umana che se ne sta alla finestra ad osservare, presente nella sua tragicità, ma senza mai apparire davvero per imporre la propria presenza in modo inevitabilmente violento. Stando in quel caffè sbandano un po’ rispetto alla loro quotidianità, si lasciano per un attimo traviare dalla “società dell’avere” prima di ricordarsi cosa sia veramente importante: il legame di profonda amicizia che li lega. Fuggita nel 1956 dalla sua patria, l’Ungheria, Agota Kristofsi stabilisce in Svizzera, aNeuchâtel; tutto quello che pubblicherà sarà in francese, la sua lingua di adozione e lo sradicamento sarà presente in tutta la sua opera; nei suoi testi si scivola costantemente e la stabilità non è ammessa: niente è mai quel che appare e non si può essere mai sicuri che quel che viene narrato sia verità o menzogna, pur nella finzione di un’opera letteraria. Proprio ne “La terza menzogna” che conclude la “Trilogia della città di K.” (Einaudi 1998), Agota Kristof scrive: “[…] cerco di scrivere delle storie vere, ma, ad un certo punto, la storia diventa insopportabile proprio per la sua verità e allora sono costretto a cambiarla. Le dico che cerco di raccontare la mia storia, ma che non riesco, non ne ho il coraggio, mi fa troppo male. Allora abbellisco tutto e descrivo le cose non come sono accadute, ma come avrei voluto che accadessero.”

In fondo è proprio che si trova in “John e Joe”, senza retorica o rivendicazioni di tipo sociale o politico: la crudeltà che viviamo e subiamo, che non vogliamo vedere mentendo a noi stessi, ma che in fondo troppo spesso ci fa comodo, viene resa sopportabile anche grazie a chi, al nostro posto, nonostante tutto, mantiene dritta la barra nella direzione di ciò che è vero, buono, giusto.

Paola Pini

John e Joe

Di: Agota Kristof, tradotto da Pietro Faiella
Scene: Mario Fontanini
Regia: Valerio Binasco
Aiuto regia: Aleph Viola
Riprese making of: Deniz Ozdogan
Produzione:Narramondo Teatro/Popular Shakespeare Kompany Fondazione Teatro Due Parma
Interpreti: Nicola Pannelli, Sergio Romano

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