In scena al Teatro Eliseo di Roma da martedì 26 aprile a domenica 15 maggio 2016
Ci ricordiamo di Arancia Meccanica per il famoso film di Stanley Kubrick del 1971, ma in realtà questo capolavoro nasce dalle idee di Anthony Burgess come romanzo (A Clockwork Orange/Un’arancia a orologeria) nel 1962 per poi risorgere, grazie allo stesso autore, nel 1990 come testo teatrale. La sua trasversalità artistica lo rende duttile che il regista Gabriele Russo è riuscito a modellarlo come una creta usando toni graffianti che scuotono la platea. Una storia lungimirante, una premonizione onirica di come la violenza sia diventata col tempo sempre più gratuita e insensata, che nella rappresentazione è lo specchio dell’indole malvagia e sporca del protagonista Alex (Daniele Russo) e dei suoi amici Drughi (Sebastiano Gavasso e Alessio Piazza). Costoro si trovano immersi in una società corrotta e sempre più incline al controllo scientifico, inumano, frutto della privazione del libero arbitrio, di ciò che ci rende umani e diversi dalle bestie. E’ in questa realtà che le visioni e le perversioni di Alex si sfogano con crudeltà fino a che non viene tradito dai suoi stessi amici che lo abbandonano sul luogo dell’ennesimo crimine. Trovato in flagrante dalle autorità, il protagonista è condannato a scontare 14 anni per omicidio, ma pur di evitarli si sottopone a esperimenti che si rivelano essere mera castrazione chimica e suggestioni psicologiche indotte nel modo più subdolo.
E’ proprio questa trasformazione meccanica di Alex il focus dello spettacolo: da individuo sociopatico e pericoloso a 360°, diventa una marionetta che vomita al solo impulso lascivo e depravato che gli ribolle nelle vene, nelle mani di uno stato cinico e calcolatore. L’intera vicenda trova il suo spazio perfetto nelle proiezioni e nelle installazioni di pura arte contemporanea (Roberto Crea) che si fanno avanti sul proscenio, e nelle musiche di Morgan fuori dagli schemi, dirompenti, che rivisitano in chiave rock il Ludovico Van (Beethoven) tanto amato da Alex. Infatti, le note stesse sono indispensabili all’azione scenica, perché rappresentano lo stato mentale del Drugo e la sua anima viziosa e diabolica, e rimbombano con una forza violenta distruttiva e autodistruttiva, degenerando con una climax ascendente nel suo delirio, consumando quel barlume di umanità che gli resta.
Alex diventa il simbolo dell’eterna divisione, del rapporto tra male e bene, perché da carnefice diventa vittima, infettata dalla società stessa e questo sfocia in domande che trovano una risposta devastante nel finale con un colpo di scena.
L’ultraviolenza, ovvero questa violenza primitiva e questo ‘cinebrivido’ tanto decantati dai Drughi sono incastonati in un mondo anestetizzato e lobotomizzato, che nasconde il suo regime totalitario dietro a falsi perbenismi, per non lasciare spazio a decisioni altrui, privando la libertà che diventa un lusso per chi sa stare al proprio posto. E in questo combattimento, lo squilibrio del protagonista monta, diventando il disagio di chi si è perso, di chi è diventato solo un ingranaggio meccanico, il risultato di un esperimento: “Quando vi occuperete di me? Sono solo un cane, un animale o un’arancia meccanica?”. E al pubblico resta l’amaro in bocca, il dubbio sul cosa sia meglio: essere cattivi per scelta o essere onesti come risultato meccanico di un lavaggio del cervello.
Lo slang inglese e le sue influenze russe, rende un po’ ostica la comprensione, nonostante la consegna di un glossario all’ingresso. Rispecchia però in pieno le visioni e le intenzioni squilibrate del folle protagonista, che vive in un mondo suo e ha anche il suo lessico.
Flavia Severin
Il teaser: https://www.youtube.com/watch?v=FvG7O6DECpE