Alla GAMeC di Bergamo dal 29 aprile al 15 maggio 2016
La musica si ascolta, non v’è alcun dubbio, ma nei ritratti in bianco e nero dei “Jazz Travelers” fotografati da Dario Guerini, in esposizione alla GAMeC di Bergamo dal 29 aprile al 15 maggio 2016, la si vede, la si guarda, la si osserva, e più l’occhio si abitua a quelle atmosfere contrastate, a volte mosse, notturne, intimistiche, sofferte, cinematografiche, più riusciamo a captare dettagli che ci erano sfuggiti, arricchendoci di emozioni e di stupore. Le mani quasi maschili di Carla Bley sulla tastiera di un pianoforte, o quelle nodose di Tom Ebbert che stringono la tromba, i tatuaggi di Brad Mehldau, gli anelli e gli arabeschi della giacca di BB King, le stampelle di Michel Petrucciani appoggiate sul pavimento, i riflessi negli occhiali di Jim Hall , la magica silhouette di Gato Barbieri, solo pochi i ritratti “posati”, quello di Dee Dee Bridgewater per esempio, il resto sono scatti presi in momenti di relax nei camerini, o durante le prove, attimi di solitudine su un palcoscenico vuoto, stupenda la foto di Michel Portal al teatro Bibiena di Mantova, visi concentrati nel momentum, lo stringere lo strumento come fosse una parte del loro corpo, o di quello dell’amante, occhi chiusi, o che guardano lontano, in cerca di ispirazione o di un po’ di riposo.
Non vi è mai un “mettersi in mostra” per offrire il profilo migliore o per coprire i segni del tempo o per dimostrare la propria bravura, nemmeno del fotografo stesso. Anzi, di tutti cogliamo l’età, i difetti, la pinguedine, le calvizie, oppure la bellezza regale come nel caso di Max Roach e di Kenny Barron. Insomma, Guerini ha scavato nell’uomo oltre che nell’artista, senza aggiungere abbellimenti, senza servirsi di ritocchi, ha usato solo la luce che c’era in quel momento e poi ha scattato la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità.
E una volta dentro quella verità, davanti a quei ritratti anche il nostro udito è coinvolto, come se da quelle immagini provenissero davvero il suono degli applausi, le note degli strumenti, i pensieri degli artisti, e poi, perfino l’odorato: ci sembra di respirare la polvere delle tavole di un palcoscenico, l’odore di un sigaro, il sudore della pelle. Prendiamo coscienza di quelle immagini così forti, così sentite, unite dalla stessa grandezza e bellezza, quella dei protagonisti e del fotografo chi li ha immortalati, lui che è stato ammaliato dalle sirene “Jazz” e “Fotografia” o, se volete, chiamatele Muse, quando si occupava ancora di economia e finanza e forse non è stato per caso né per seguire un capriccio passeggero, visto che continua senza sosta a fotografare, per gioco, per divertimento, per amore.
Perché un artista sente il bisogno di scrivere, dipingere, fotografare? Per riempire un vuoto o per riversare, condividere, offrire quel surplus che ha dentro e che spinge con forza per uscire allo scoperto? Se chiedessimo a Guerini qual è la percentuale tra offerta e bisogno forse direbbe “metà e metà”.
Una lunga serie di mostre dalla prima al Circolo Filologico Milanese nel 1995, poi San Francisco, Torino, Milano, Ferrara, Roma, Orlando (Florida), Bergamo, Firenze, Bologna, Trento, New York dove nel 1997 espose alla Galleria Hands di Tribeca questi ritratti, ora alla GAMeC si sono arricchiti, con il titolo “Naviganti senza navigare” per celebrare il cinquecentenario del viaggio compiuto da Giovanni Caboto nel 1497 e che si trasformò in un omaggio alla musica jazz e ai suoi protagonisti.
Eppure Guerini rimane un fotografo umile, riservato, spinto unicamente dalla sua passione che è sincera, pura, autentica, tralasciando gli aspetti esteriori e mondani dell’essere artista di talento. Se fosse concentrato solo sul suono degli applausi e delle lodi non sarebbe in grado di sentire e fotografare le note jazz uscire dal sax di Johnny Griffin o di Archie Shepp, dalla batteria di Alvin Queen, dal pianoforte di Mike Melillo, dal contrabbasso di James Genus dalla tromba di Wynton Marsalis e da tutti gli altri travelers che ci accompagnano in questo viaggio senza viaggiare.
Con la sua macchina al collo Dario Guerini, traveler tra i travelers ci regala continuamente il suo sguardo profondo, attento e solidale sull’essere umano, senza ritocchi, sdolcinature, falsità, tanto è vero che è entrato anche nelle carceri per fotografare i detenuti o nelle comunità rom.
Esco dalla mostra piena di emozioni e porto con me, tra i tanti stupendi ritratti, quello sorridente di Ray Charles forse perché ha la forza di comunicarmi la gioia e la bellezza della musica, e della vita stessa, nonostante tutto.
Daria D.