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OGNI AUTORE PUO’ DIRSI “DRAMMATURGO”? La rubrica di Enrico Bernard

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Quando nel 1805 Goethe licenziò il “Prologo sul teatro” del Faust (che ricorda tanto Questa sera si recita a soggetto di Pirandello) non si sarebbe mai aspettato che il personaggio del Theaterdichter, letteralmente il “Poeta di compagnia ” ovvero “L’Autore”  che litiga col Direttore di sala, il quale  pretende uno spettacolo di gradimento per il pubblico  che non ha voglia di pensare troppo, sarebbe stato tradotto in italiano con DRAMMATURGO!

Del resto Goethe non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad usare il termine Drammaturgo: un concetto ben radicato e diffuso nella cultura tedesca.  Allora perché il genio di Weimar adotta un sinonimo che sposta il significato di quel tantino che basta per distinguere  il “creatore di nuove forma drammatiche” (ossia il Drammaturgo nell’accezione di  Pirandello) dal più semplice autore di testi e dialoghi al servizio della compagnia?

Il motivo sta semplicemente nel fatto che mentre l’Autore (il Poeta di compagnia ) è  condizionato dai meccanismi e dalle esigenze spicciole della produzione teatrale,  quindi l’intrattenimento del pubblico, il drammaturgo semplicemente se ne frega, o dovrebbe fregarsene. Anzi vorrebbe, ma spesso non può: infatti il Poeta di compagnia (l’Autore) del Prologo goethiano ha stretto un patto col diavolo, il successo di pubblico e relativo sbigliettamento, quindi deve sottostare agli umori della pancia della platea. La sua lagnanza  con cui  cerca di sottrarsi al dovere contrattuale, ha il sapore delle lacrime di coccodrillo:

Non voglio sentir niente della chiassosa moltitudine,

solo a vederla lo spirito mi fugge in ogni latitudine.

L’Autore cerca allora di ribellarsi alle leggi del mercato,  la traduzione fedele per quanto pittoresca  è mia,  ma il botteghino è più forte di qualsiasi ispirazione drammaturgica:

Risparmiami  la visione di questo pubblico zoticone

che ci impone di cucinar controvoglia  il minestrone.

Il Poeta vorrebbe piuttosto dedicare la sua arte a qualche missione più nobile che il puro divertimento dello sghignazzante parterre:

No, ti prego, permettimi di volare all’alte vette,

lassù, dove al  Poeta arridon le gioie più dilette,

lassù, dove è il  regno  del più puro sentimento

che la saggia man divina sigilla col cemento.

E così il Poeta deve far mestamente buon viso a cattivo gioco nonostante  il giudizio negativo sul teatro d’intrattenimento:

Ciò che diverte,  appartiene all’attimo fuggente

ma la verità resta chiusa nel cuore della gente.

L’intento di Goethe  è dunque  di tener ben distinte due figure la cui confusione provoca appunto il malinteso sul Poeta di compagnia  che vorrebbe essere un drammaturgo a tutto tondo,  ma è costretto giocoforza dalla legge del botteghino ad un ruolo di  “semplice” autore di  “qualcosa che faccia divertire il pubblico”: non a caso il  personaggio del direttore del Faust di Goethe e il direttore Hinkfuss di Questa sera si recita a soggetto  di Pirandello ripetono  la stessa  emblematica battuta sull’esigenza di far cassa puntando sul leggero.

Quindi  non basta scrivere testi teatrali per potersi considerare “Drammaturgo”: per Pirandello bisogna dar vita a nuove forme drammatiche, solo cosi l’artista si distingue dall’artigiano (vedi gli scritti teorici su Arte e Artificio), mentre per Goethe non è tanto questione di forme, bensì di contenuti ideologici. Insomma  solo l’autore di forme artistiche che puntano alla trasformazione del mondo(l’idealismo di Goethe e Schiller è uno dei grandi movimenti di pensiero del nuovo umanesimo)  merita di essere definito drammaturgia.

Naturalmente ogni autore si porta dietro (o dentro) una sua Weltanschauung, una visione del mondo, un ideale da realizzare con tutti gli strumenti dell’arte drammatica: dal tragico al comico, come diceva Giordano Bruno, il passo è breve. Tuttavia, ecco il punto, non sempre questo “mondo ideale” è ben netto, chiaro agli occhi di un autore. All’orecchio del quale suonano incessantemente le sirene dell’attimo fuggente goethiano: il complimento, il placet della critica facilona, il gradimento del pubblico dalla bocca sempre buona.

In epoca non sospetta, correva il 1985,  sfidando la corrente di pensiero che leggeva nel concetto di  “drammaturgia”  una sorta di anticaglia museale che la sperimentazione del decennio precedente aveva provveduto a spazzar via,  soprattutto nella sua dimensione autoriale di scrittura, intitolai provocatoriamente AUTORI E DRAMMATURGIE la prima Enciclopedia del Teatro Italiano Contemporaneo (di cui sto licenziando in questi giorni la quarta edizione aggiornata). Dopo aver catalogato oltre 500 autori, dal 1945 al 1992,   li avevo sottoposti ad un lavoro di “spremitura” per far uscire da ciascuna opera completa il “succo” drammaturgico. Il risultato fu sorprendente per gli stessi autori, alcuni dei quali  si accorsero di  non aver semplicemente scritto testi per la scena, ma di aver perseguito – non sempre coscientemente – una vera e propria attività critica della realtà, insomma di aver operato in base ad un’idea, quando non ad un ideale o ad un’ideologia.

Da questa spremitura collettiva  ho tratto l’idea di una collana intitolata “Il Meridiano del Teatro”, tanto per mettermi di traverso contro la grande editoria, quella mondadoriana dei “Meridiani”, nella quale tuttora pubblico “opere complete” degli autori che riescono a definire con un titolo rappresentativo, una sintesi,  il complesso drammaturgico della loro opera. Si è così andati dal Teatro dell’Ingano della Compatangelo al Teatro dello Smascheramento di Giordano, dal Teatro “da” di Moretti al Teatro dell’Imprevedibile di Fratti, dal Teatro dell’Anarchia di Manfridi al Teatro Meraviglioso di Doplicher e molti altri volumi di diverse centinaia di pagine ciascuno (14 volumi per un totale di 5.000 pagine).

La mia convinzione è,  in breve, che in un autore di teatro covi sempre il drammaturgo, anche quando si trova nella condizione del goethiano Poeta di compagnia  che vorrebbe realizzare qualcosa di nuovo e importante, ma non ci riesce per difficoltà oggettive (il mercato) o soggettive (la presa di coscienza della propria Weltanschauung e dei propri ideali).

Tuttavia non sono altrettanto convinto che un regista o un direttore di compagnia che scrive per se stesso  possa definirsi immediatamentedrammaturgo per il semplice fatto che “scrive anche lui”. Troppo facile. Wagemann, il direttore del teatro di un testo di Tieck del 1792, caccia l’autore incapace di divertire il pubblico e poi combina pasticci sul palcoscenico; oppure si pensi ad un testo  paradossalmente scritto, dopo aver liquidato l’autore,  ossia  il drammaturgo perché troppo… drammaturgico, dal direttore Hinkfuss di Questa sera di Pirandello. Insomma,  un disastro – altro che drammaturgia! – quando i Signori Direttori si mettono a scrivere le proprie direzioni.

Mi si obietterà che vi sono molti casi di grandi autori, questi sì Drammaturghi con la maiuscola, anche registi e interpreti di se stessi. Molière, Eduardo, Carmelo Bene, Dario Fo… tuttavia bisogna chiedersi: che cosa resta di Molière, le sue opere o le sue regie? D’accordo, con Moliere il gioco è facile perché delle sue regia non ci è pervenuto nulla visivamente. Prendiamo allora Eduardo: sarà sempre meraviglioso  poter rivedere il suo personaggio Lucariello da lui stesso diretto e interpretato…  ma l’immagine del suo lavoro attoriale e registico sarà sempre più una reliquia del passato, un documento. Ciò che resta “vivo” drammturgicamente è solo il suo testo, la sua scrittura.  Quindi non è vero che la drammaturgia scaturisce dall’incontro tra una performance visiva, una messa in scena  ed  un testo, bensì viene fuori dall’incontro di un testo con una ideologia.

Mi rivolgo io stesso la domanda del secolo: dove li metti  Peter Brook, Kantor? non sono  drammaturghi secondo te, oltre che registi? Che fine fai fare alla Sperimentazione, a Rem e Cap e molti altri? Ebbene, in questo caso mi tengo largo: quando parlo di  “testo” non mi riferisco solo alla testualità relativa alla comunicazione verbale. “Testo” è secondo me il complesso della comunicazione di un contenuto (un ideale) attraverso una forma (drammatica, il teatro). Quindi “drammaturgia” è qualsiasi forma di comunicazione drammatica di un ideale o di una visione critica del mondo.

Un autore che si fa  regista della propria opera  deve averla, l’idologia, per essere un drammaturgo; ma un regista che fa l’autore (ossia il Poeta di compagnia) sarà sempre più vicino a Hinkfuss e al direttore del teatro del Prologo del Faust che non a Shakeaspere e Molière, a Goethe e Pirandello. Semplicemente perché gli sarà molto difficile liberarsi dal condizionamento del pubblico e del mercato che fa di lui non un drammaturgo, ma un “semplice” Poeta di compagnia .  Goethe docet.

Enrico Bernard

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