In scena fino al 6 giugno al Teatro Studio Melato di Milano
Entra in scena incerto, quasi barcollante. Si copre la testa, cercando sollievo in un rapido suffumigio terapeutico. “Ho 53 anni!” mormora, stupito e amareggiato.
L’incipit de Il ritorno di Casanova di Schnitzler, in scena fino al 6 giugno al Teatro Studio Melato di Milano, non potrebbe essere più doloroso e amaro. E’ un Casanova stanco di una lunga vita di eccessi e scorribande, che anela di ritornare all’amata e sospirata Venezia, 25 anni dopo l’evasione dai Piombi. E’ un uomo che sente dentro di sé e legge con orrore sul proprio viso i segni della decadenza fisica.
La regia di Federico Tiezzi, che ha curato anche traduzione e adattamento teatrale, mette tuttavia in luce gli aspetti di ricerca interiore, inquietudine e smarrimento che hanno così profondamente caratterizzato il pensiero del primo Novecento (la scrittura di Schnitzler è del 1913). L’incertezza circa la propria reale interiorità, il crollare delle certezze personali (fascino, bellezza, ricchezza, successo, sfrontatezza) che avevano sostituito i Valori Morali dell’epoca, la lotta continua tra realtà presente e splendori passati, l’angoscia per l’assenza di punti di riferimento.
La stessa soluzione teatrale del racconto in prima persona favorisce la rivelazione degli stati d’animo e delle mutevoli urgenze del sentire. E’ un continuo doloroso vagare tra ricordi dolorosi del passato, amare considerazioni sul proprio decadimento, brevi e inebrianti frammenti onirici di onnipotenza e vittoria sullo scorrere del tempo (ma solo in sogno e con quale orribile risveglio!), impulsi e vampe di libidine che appaiono come stanche ripetizioni automatiche. Sandro Lombardi, in scena per tutto lo spettacolo, incarna con precisione un Casanova dalle molte sfaccettature e ansie. A lungo un personaggio mascherato, senza identità né parole, assiste al narrare di Casanova, muto e misterioso.
Mai comunque Casanova riconosce e dialoga con questa presenza misteriosa e inquietante (il suo vero Io, profondo e reale ma inafferrabile e minaccioso? ), quasi a rappresentare l’impossibilità di immergersi nei propri misteri interiori. Spesso invece si rimira inquieto e disperato nel (piccolissimo) specchio. Riluttante e consapevole insieme.
Il ritorno a Venezia così tanto agognato non è accompagnato da progetti o desideri o nuovi orizzonti. E’ semplicemente una terra materna cui ritornare per trovare conforto, senza nuovi pensieri né maturate consapevolezze. E’ un’ovatta tranquillizzante, come il sonno senza sogni cui si abbandona, finalmente ritornato in patria.
Sulla scena anche Fabrizio Sinisi, il giovane ufficiale, che a Casanova ricorda con invidia la propria esuberante e sfrontata giovinezza.
E la musica dal vivo delle percussioni e del violoncello, che sottolineano gli snodi cruciali del racconto e delle consapevolezze di Casanova.
Guido Buttarelli