Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, Teatro Poliziano. Domenica 31 luglio 2016
Gli adulti sono sempre figure positive per i bambini? La risposta è un “no” secco, almeno per quanto riguarda la fiaba del “Pollicino”, dove i pargoli, alla fine, dopo una serie di sventure, decidono di vivere da soli nella natura.
Sono più di venti anni che il “Pollicino” di Henze non veniva riproposto al Cantiere e sono passati più di trentacinque anni da quel famoso 1980, quando la prima rappresentazione di questa opera (o forse sarebbe meglio dire opéra comique) – in cui i bambini diventavano non solo protagonisti, ma anche e soprattutto cantanti dalla dimensione professionale – gettava i presupposti per una nuova concezione di questo genere musicale. Domenica l’abbiamo finalmente rivisto – io lo vedevo per la prima volta – e certo non ci ha lasciati indifferenti, stupendoci e meravigliandoci, con quel suo sapore squisitamente fiabesco e con i suoi richiami astratti e simbolici.
Il soggetto di Henze – scritto da Giuseppe di Leva – prende spunto da diverse variazioni sul tema della fiaba: Collodi, Perrault e i Fratelli Grimm s’intrecciano in questa ora e un quarto di rappresentazione, dove troviamo il protagonista abbandonato nel bosco dai genitori insieme ai suoi fratelli e sorelle. Il gruppo di bambini è aiutato poi dagli animali della foresta a trovare una casa, dove però abita un orco cattivo che vorrebbe cibarsi di loro. Per fortuna Pollicino e gli altri riescono a fuggire insieme ai figli e alle figlie dell’orco, tra le quali spicca Clotilde, che s’innamora di Pollicino, preannunciandoci l’inizio di un amore. La vicenda si conclude – dopo un tormentato attraversamento di un fiume – con un’idilliaca danza nella natura insieme agli animali, il cui significato sembra essere quello che la gioia la si può trovare solo distanti dagli adulti (evidentemente una metafora che esprime l’impossibilità nell’età matura di ritrovare la felicità dell’infanzia).
Le scene e i costumi di Leila Fteita sono veramente attraenti. La scena è quella di un bosco su un fondale dipinto, in cui vengono inseriti di volta in volta gli oggetti praticabili. Sicuramente affascinante l’idea di aprire, in occasione dell’incontro con gli animali, la porta centrale disposta sul fondo sopra al palcoscenico, confondendo così la finzione con la realtà, visto che quest’ultima – composta da un giardino con alberi – diviene così la nuova scena, donando luminosità e astrattismo, con i personaggi che rappresentano gli animali che si muovono sulla scena con dei copricapo floreali, che sembrano provenire dall’immaginario di Arcimboldi. Altro espediente interessante a livello scenico è stato di certo l’inserimento della mostruosa scultura gigante in occasione dell’arrivo nella casa dell’orco, dove lo stesso se ne sta seduto proprio all’interno di questo grande oggetto. Tra i costumi ho menzionato quelli sicuramente interessanti utilizzati per le fiere, per il resto si può dire che in linea di massima gli altri personaggi vestono una moda inizio Novecento, ponendo così l’opera in una dimensione spazio-temporale posticipata rispetto il tempo storico della fiaba, ma passata rispetto ai nostri giorni.
Tra i cantanti va menzionata l’ottima prova di tutti i bambini, che reggono il palco con grande sicurezza e maturità, mentre, se dovessi scegliere chi citare fra le altre voci, farei sicuramente il nome di Eleonora Contucci, nella parte della madre di Pollicino, che, con il suo timbro da soprano (aggiungerei drammatico), è in grado di emozionarci e quasi di commuoverci, anche grazie a una grande predisposizione espressiva e mimico-attoriale. Altra ottima interpretazione è quella dell’istrionico orco Stefano Bernardini, che con la sua brillantezza, più d’attore che da cantante, ci stimola e ci diverte, soprattutto quando cerca di uccidere i bambini, ormai scappati, tirando con il pugnale colpi a vuoto, correndo poi per il palcoscenico su tutte le furie.
Alessio Tiezzi dirige con maestria l’orchestra dell’Istituto di Musica H. W. Henze, formata anche da musicisti giovanissimi, che danno luogo a una buonissima prova su una partitura non semplice, oscillante tra continui piani e forti, lenti e veloci, marcette classiche e brani dal sapore contemporaneo e henziano, appunto. Non è certo l’Henze delle “Bassaridi”, pur ammettendo che anche qui il compositore non rinuncia a quei passaggi tenebrosi, angusti e soprannaturali, che costruiscono una dimensione altra capace di catapultarci al di fuori della realtà.
Come corollario finale non si può che parlare della regia di Marina Bianchi, organica, ben congegnata, moderna ma anche rispettosa del lavoro del Maestro. Apprezzata anche l’idea di dare un palco a quei “bambini” (ormai adulti) che furono i protagonisti di quella citata impresa del 1980. Alcuni di loro, insieme a altre comparse, domenica erano sul palcoscenico vestiti di bianco, girati di spalle, a mo’ di presenze mistiche, come divinità che non fanno più parte di questo mondo, come adulti che forse hanno imparato a rispettare e proteggere i bambini, senza abbandonarli, senza lasciarli al pericolo.
Stefano Duranti Poccetti