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“Profumo de Venezhia”. L’opera prima di Alessandra Gonnella al Festival di Venezia

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Alessandra Gonnella è una giovane regista che sta per presentare al Festival di Venezia la sua prima opera. Leggete per saperne di più…

Tra pochi giorni la tua opera prima verrà presentata al Festival di Venezia, sei emozionata? Come vivi questo momento?

Sono emozionata all’idea di percorrere le stesse strade del Lido (non ancora il red carpet ndr) e varcare la soglia dell’Hotel Excelsior come faranno altri addetti ai lavori molto più illustri di me, per la prima volta a presentare un progetto che è in cantiere da un anno esatto e che finalmente ora vede la luce e ci dà la possibilità di raccoglierne i frutti. Non ho paura, sono contenta e consapevole del lavoro fatto, sia dei pregi che dei limiti. E’ difficile presentarsi a 21 anni come regista senza risultare un tantino presuntuosa e infatti non ne ho intenzione, però d’altra parte sono orgogliosa di dire che, pur essendo tanto giovane, mi sento tanta energia addosso, tassello dopo tassello sento che sto seguendo il mio percorso e non vedo l’ora di vedere che succederà in futuro. Una delle ragioni per cui verrò apposta da Londra è anche per conoscere persone nuove che lavorano nell’industria, non voglio perdere nessuna occasione, cerco di essere imprenditrice di me stessa. E anche se non succederà niente, sarà un’esperienza elettrizzante comunque.

 

Cosa ti ha ispirato questo progetto?

Ho trovato il libro di Aldo Durante per caso in un negozio del mio paese due anni fa e quando ho iniziato a leggerlo ero già a Londra da circa sei mesi, perciò il fatto di leggere qualcosa nel mio dialetto, ambientato nei dintorni di casa mia, che descrive uno spaccato della realtà rurale ben riconoscibile del mio popolo, nel 1945 come oggi, mi sembrava una cosa in cui potessi riconoscermi solo io, ormai trasferita in una grande metropoli dove queste sensazioni, e tantomeno il dialetto, sono sconosciuti. Frequentando una scuola di cinema in cui ogni giorno devi sfornare quasi meccanicamente idee nuove, originali e devi confrontarti con la creatività di altri tuoi coetanei che provengono da culture ben diverse dalla tua, mi sono anche resa conto che quello che ti verrà sempre meglio raccontare è ciò che conosci bene e che magari gli altri non conoscono. Così si fa un doppio lavoro, di rafforzamento delle proprie radici per se stessi e di promozione per gli “estranei”.
Alessandra_Gonnella_Corriere_dello_Spettacolo

 

Perché è importante raccontare questo spaccato d’Italia?

 

Pur essendo un evento di 70 anni fa, la Seconda guerra mondiale è ancora un tema molto sensibile in tutto il mondo; credo che ogni Paese coinvolto abbia ancora i nervi scoperti a riguardo, nello specifico in Italia, tenendo conto della dittatura e di tutte le sue sfaccettature, così come il capitolo sulla Liberazione, è ancora facile scaldare gli animi quando se ne parla, basta fare una chiacchierata con i propri nonni per rendersene conto. Personalmente adoro il Neorealismo, ma credo che abbia sempre dato più spazio alle realtà delle grandi città; del Veneto troviamo poco o nulla, a parte forse la caricatura del “mona ubriacone”. Per questo nel libro di Durante ho trovato i temi del Neorealismo trapiantati nella realtà del prolifico e industrializzato Nord Italia, nello specifico la campagna trevigiana, colpita dalle sofferenze della guerra e purtroppo presa di mira, in quanto terra di passaggio per le truppe straniere e i partigiani. Parlando di temi del Neorealismo mi riferisco all’attenzione data al destino di questi giovani, figli della guerra, assuefatti dalle idee degli adulti che li circondano e dalla società dell’epoca, ancora intrinseca di superstizione, bigottismo, nazionalismo, ma anche semplicità, sacrificio e parsimonia. Il dramma della protagonista, Fanny, è quello di voler assaporare, nonostante tutto e tutti, quel mondo nuovo, aperto, modaiolo e materialista delle città, di cui ha tanto sentito parlare ma che non ha mai potuto conoscere, nel suo caso rappresentato da Venezia. Il profumo non è solo l’oggetto che il partigiano, invaghitosi di lei, le regala, ma il “profumo” di novità, di una speranza che va al di là della guerra, della fame e della sofferenza. Il contesto contadino e della guerra in Veneto chiaramente ha il suo peso, come ho detto prima, per un senso di appartenenza, ma il dramma dei personaggi può essere tranquillamente traslato in una qualsiasi area di conflitto dall’altra parte del mondo dove le famiglie di civili vivono con lo stesso terrore ogni giorno, in un limbo, con l’incertezza dell’indomani, mentre i giovani che sono nati e cresciuti in mezzo a quel caos si domandano “che ne sarà di noi?”. Un’altra cosa importante da fare è fare il fermo immagine di una lingua, che non è il romanesco di De Sica, non è il siciliano di Cinema Paradiso, non è il romagnolo di Amarcord, non è il napoletano di Gomorra e nemmeno il veneto di Signore e Signori, ma il crudo e duro linguaggio che si parla ancora oggi come prima lingua nelle famiglie contadine venete, che varia da contrada a contrada, da uno strato sociale ad un altro. Il fatto di aver abbandonato la visione di film doppiati, ora che mi trovo in UK, la questione della lingua è diventata molto importante per me. Mi fa piacere seguire gli attori e cercare di capirli, qualunque lingua parlino, e leggere i sottotitoli. E’ un’operazione a cui noi non siamo abituati in Italia ma che è fondamentale non solo per la performance ma per la cultura del film che si sta guardando.

 

Quali difficoltà hai riscontrato nella realizzazione del film?

 

La difficoltà più grande è stata trovare i fondi, come credo per tutti i cortometraggi di questo mondo. Convincere qualcuno a finanziarti così, senza nessuna referenza, quando hai 21 anni e hai una bella idea, è molto difficile, sempre e ovunque; però devo ammettere che mi aspettavo, visto il tipo di idea, di ricevere più attenzione e calore da parte degli imprenditori locali. La mia area, il montebellunese, è famosa per le aziende calzaturiere, per il Prosecco e non si può certo definire “povera”; inoltre c’è un forte senso d’identità imperante, non tanto italiano, ma appunto veneto, perciò mi ha sorpreso negativamente il fatto che un progetto realizzato da giovani veneti, mirato a promuovere la propria regione e la propria cultura, sia stato poco supportato economicamente da chi ha sempre cavalcato l’onda del Made in Veneto, oltre che del Made in Italy, anche perché non chiedevamo molto. Al contrario, invece, sono rimasta sbalordita positivamente dall’aiuto ricevuto prima e durante le riprese da persone comuni (che di norma fanno tutt’altro che film) che ci hanno prestato costumi, location, automobili d’epoca e la propria opera. Ogni volta che racconto in giro tutte le cose che abbiamo ricevuto gratuitamente, le persone non ci credono, soprattutto qui a Londra, dove di norma si paga anche l’aria che si respira. Tutto questo, credo, per il semplice fatto che fossero elettrizzati dall’idea di contribuire alla realizzazione di un film, tanto più se un film dedicato alla propria terra e alla propria cultura.

 

Hai qualche ringraziamento da fare?

 

Un ringraziamento speciale va a tre uomini fondamentali per la realizzazione di questo film: il professore Aldo Durante, che mi ha dato il permesso di raccontare cinematicamente la sua bellissima storia, al produttore Andrea Franchin per aver lavorato duramente durante i mesi di preparazione, nonché di produzione e post produzione, che grazie alla sua competenza e perfezionismo è riuscito a rendere il prodotto oltre le aspettative, nonostante i mezzi a disposizione e a mio padre Vincenzo Gonnella che supportandomi moralmente ed economicamente mi segue in queste follie e mi guarda sempre da lontano lasciandomi libera di seguire il mio istinto. Infine, ma non per importanza, tutta la crew e tutto il cast per aver lavorato duramente per paghe ridicole; se non avessero prestato la loro competenza alla mia causa, non ci sarebbe stato alcun film. Loro sono i miei angeli, tutti. Alla fine di tutto il percorso, il regalo più bello è stato certamente vedere tra la folla, durante l’anteprima al cinema di Montebelluna, delle persone commuoversi perché “la mia infanzia me la ricordo proprio così” o “perché quando Angelo rimprovera Fanny, mi sembra di rivedere mio padre rimproverare me allo stesso modo”.

 

 

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