Non solo gli adulti sono in grado di compiere capolavori, ma anche (e soprattutto) i bambini. Era il 1957 quando una squadra di Baseball di un indigente paese messicano, Monterrey, andava vincere la Little League, sconfiggendo fuori casa tutte le squadre partecipanti degli Stati Uniti, considerati maestri di questo sport.
La storia vera è raccontata anche dal bellissimo film del 2009, basato sull’omonimo libro di William Winokur uscito un anno prima, “The Perfect Game”, un’opera decisamente ispirata del regista William Dear, che riesce a intingerla di poeticità, divertimento, commozione, questo attraverso una regia alla foggia teatrale, a una sceneggiatura fluida e stimolante e alle toccanti musiche di Bill Conti, che in certi frangenti ci ricordano le sonorità di Ennio Morricone.
È César Faz (Clifton Collins) l’allenatore della squadra, da sempre nel giro di questo sport, o come giocatore o come “portasciugamani” di un importante team di Major League americana. In ogni modo, la sua vera storia sarà scoperta dal resto dei personaggi solo alla fine. Il film parla di Baseball, ma parla anche di relazioni – vedi quella complicata tra il piccolo Ángel Macìas e il padre, ancora scosso per la perdita dell’altro figlio, o ancora quella tra Faz e Maria (Patricia Manterola): tra i due è nato l’amore, ma per una serie di vicissitudini non hanno mai la possibilità di conoscersi appieno, questo almeno fino alla fine del film, quando la vittoria finale coincide con l’unione degli innamorati e anche con la riappacificazione tra padre e figlio. Altro elemento fondamentale della pellicola è quello che ha a che vedere con la religione. La squadra viene infatti seguita negli Stati Uniti anche dal parroco della città, Padre Esteban (Cheech Marin), e più tardi, dopo la partenza a causa della scadenza del visto di quest’ultimo, le si unirà anche un pastore protestante – senza contare la bella giornalista americana, appassionata degli accadimenti che vanno formandosi -, parente di un simpatico giardiniere che di Baseball sa tutto (sono entrambi neri e non è un dato da sottovalutare, visto che nel film si assiste anche alla critica al razzismo, in un’America dove ancora i neri erano nettamente discriminati, con tanto di bagni separati, e nel loro piccolo il Monterrey riuscirà a rendere felice un bambino di colore di una squadra avversaria, lasciato a mangiare da solo al tavolo dal resto della comitiva bianca). La religione in questo caso non ha solo un valore istituzionale, ma anche e soprattutto umano. Si tratta di una religione sentita e in grado di aiutare anche a livello pratico. Tutto passa dalla chiesa del paese, che tramite i soldi raccolti può permettere alla squadra del Monterrey – che si rifiuta di giocare le partite senza la benedizione sacrale – di continuare la sua avventura fino alla vittoria finale.
Un film perfetto e inspirato, in cui la Poesia sprizza la sua aura in ogni momento. Un film che più di un film è una storia; una storia realmente accaduta che meglio di così non poteva essere raccontata.
Stefano Duranti Poccetti