Stanotte l’ho vista, edito da Comunicarte Edizioni alla fine del 2015, è l’ultimo romanzo di Drago Jančar, tradotto in Italia con maestria da Veronika Brecelj e dopo pochi mesi è già alla sua seconda edizione. L’autore è forse il maggiore scrittore sloveno contemporaneo e in italiano sono usciti finora L’allievo di Joyce (Ibiskos – ZTT-EST, 2006), Il Ronzio (Forum, 2007) e Aurora Boreale (Bompiani, 2008), oltre a numerosi saggi su riviste e quotidiani.
Ispiratosi ad una storia vera (la vicenda di Ksenija Gorup Hribar, nata a Fiume nel 1905 da una famiglia ricchissima e del marito Rado Hribar), in questa sua opera narra di una vicenda umana che si snoda tra i deliri della Storia e il cui epilogo è annunciato fin dal principio. Veronika, il fulcro intorno al quale tutto ruota, è una donna straordinaria che sembra agire fuori dal proprio tempo, totalmente incurante del fatto di trovarsi in piena seconda guerra mondiale in una Jugoslavia lacerata dalla guerra civile e occupata dalle truppe naziste. È questo il motivo dell’enorme fascino che riesce a suscitare in tutti quelli che la incontrano, ma anche la causa del suo destino. Il lettore scopre la verità poco a poco, grazie a cinque narratori che, uno per capitolo, svelano una verità parziale, segnata da rimozioni a tratti volontarie, originate da sensi di colpa non risolti. Donna profondamente libera nell’anima, Veronika “voleva vivere semplicemente, in armonia con se stessa, voleva soltanto capire se stessa e chi le stava intorno”, vicina alla fatica e alla sofferenza di ogni essere vivente, compassionevole e generosa. Cinque sono dunque le voci narranti: Stevo, l’amante; Josipina, la madre; Horst il medico, ufficiale della Wehrmacht; Jozi, la governante; Jeranek, il contadino, assunto quando necessario nel “maniero situato ai piedi delle montagne nell’Alta Carniola non lontano da Lubiana” in cui si svolge la parte centrale della vicenda. Vengono tutti travolti dalla sua vitalità, e ognuno in modo diverso viene da essa segnato in modo indelebile, anche a distanza di anni o di decenni, condizionandone il presente, incapaci di affrontare degnamente la vita riservata ai sopravvissuti, perché privati della sua incredibile capacità di superare con leggerezza le prove più dure.
Veronika è scomparsa, ma la sua presenza continua ad essere percepita come reale e non si sa fino all’ultimo cosa sia avvenuto davvero; questa incertezza costringe tutti a confrontarsi con se stessi, con i propri fantasmi, con la propria ombra, i propri sensi di colpa e le proprie giustificazioni create nel tentativo, fallito, di superarli, perché “non sono le cose che si fanno ad accompagnarci, ma quelle che non si fanno. Che si sarebbero potute fare, ma non si sono fatte.” Attraverso i conti che ognuno si trova a dover fare con se stesso, ci appare l’indifferenza totale della Storia che, come la Natura, segue il proprio percorso, incurante di quel che distrugge, annienta, devasta. Le macerie che provoca non lasciano il segno soltanto sul terreno che ne viene così contaminato, o sulle case bombardate, ma soprattutto in chi sopravvive, che ricorda ma non vorrebbe farlo e che cerca di dare in qualche modo la propria personale interpretazione dei fatti, alla ricerca disperata di un minimo senso che riesca a conciliare almeno un po’ le ragioni proprie con quelle della collettività, ma soprattutto tra il presente in cui si trova a vivere e i rimorsi da cui il ricordo dell’esistenza pura e libera di Veronika non dà requie perché, anche a distanza di tanto tempo, nessuno è riuscito a comprendere veramente. È una devastazione soprattutto umana e le macerie sono soprattutto interiori. Il restar fedele alla propria autenticità al di là dei condizionamenti sociali e culturali di un mondo falso ed ipocrita, il voler essere “persona” superando gli stereotipi di genere: questo il peccato mortale della protagonista, che anche a distanza di decenni non permette, a chi l’ha amata, odiata, giudicata, di dimenticare presenza costante nelle vite di ognuno di loro, fantasma reale e concreto. Alla fine è lei a vincere sulla Vita, nonostante tutto.
I ruoli diversi che ognuno ha giocato in questo piccolo angolo di tempo, nel quale si ripetono, sempre uguali le mosse di tanti altri in epoche lontane o vicine, divengono in questo splendido romanzo emblema di un unico destino, tragico nel senso classico del termine e che tutti ci accomuna; la vicenda che vi emerge è grande e coinvolge così tanto perché in fondo parla di tanti di noi, sopravvissuti ad un secolo breve dal quale non riusciamo a prendere le distanze e che continua ad attrarci senza permetterci di andar oltre, costringendoci, tragicamente, a continuare a ripetere gli stessi identici errori del passato con imbarazzante mancanza di fantasia, ma pure del più minimo senso critico.
Drago Jančar è scrittore di grandissimo talento, oltre che drammaturgo e saggista, riconosciuto in patria e all’estero in modo tangibile dalla traduzione delle sue molte opere in decine di lingue diverse e pubblicato in Europa, Asia e Stati Uniti. Ha vinto numerosi premi, tra i quali il premio Prešeren nel 1993, l’Herder Preis nel 2003, il Jean Amery Preis nel 2007, il Prix Européen de Litérature nel 2012.
Per Stanotte l’ho vista Jančar ha già vinto in Francia il Prix du Mellieur livre étranger nel 2014 ed il Premio Internazionale Ignazio Silone 2016.
Paola Pini
Drago Jančar
Stanotte l’ho vista
Comunicarte Edizioni, 2015
Traduzione di Veronika Brecelj