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Massimo Ghini alla disperata ricerca di “Un’ora di tranquillità”

Data:

Teatro Signorelli, Cortona. Mercoledì 9 novembre 2016

Parigi, sabato mattina. Di ritorno da un mercatino in cui ha scovato un rarissimo e prezioso vinile dell’unico album inciso da un clarinettista degli anni ’30, il cinquantenne Michel (Massimo Ghini) già pregusta il momento in cui azionerà il giradischi e si concentrerà sull’ascolto dell’inestimabile “reliquia”. Ma non ha fatto i conti con una serie interminabile di imprevisti, che lo porterà a implorare un’ora di tranquillità: la crisi coniugale in corso, con la moglie Natalie (Galatea Ranzi) che, colta da improvviso bisogno di sincerità, gli rivela un tradimento vecchio di vent’anni consumato con Pierre (Massimo Ciavarro), il miglior amico di Michel; i guai combinati dall’idraulico polacco (ma in realtà portoghese) Leo (Luca Scapparone), alle prese con una riparazione domestica dagli esiti disastrosi; le lamentele dell’inquilino del piano di sotto Pavel (Claudio Bigagli), anch’egli polacco (vero, stavolta), che si è ritrovato l’appartamento allagato a causa della “professionalità” di Leo; le visite del figlio trentenne Sebastien (Alessandro Giuggioli), metallaro catatonico senza arte né parte che vive in uno scantinato e che, in piena crisi d’identità, ha deciso di cambiare il proprio nome in “fucking rat” (topo del c***o); l’arrivo dell’amante Elsa (Gea Lionello), anch’essa colta da crisi di coscienza e quindi determinata a raccontare la verità alla moglie di Michel, che per giunta è anche la sua migliore amica (pari e patta, quindi!); infine, ciliegina sulla torta, il ritorno in scena di Pierre che, ancora innamorato di Natalie, scopre pure di essere il padre naturale di Sebastien…

Una presentazione in stile cinematografico (quasi a richiamare la provenienza artistica di gran parte del cast), con i titoli di testa proiettati su uno schermo, introduce Un’ora di tranquillità, commedia scritta dal giovane autore francese Florian Zeller e diretta, oltre che interpretata, da Massimo Ghini, al suo debutto come regista teatrale. Lo spunto iniziale sul quale è stato costruito l’intero impianto narrativo è tutt’altro che comico: l’incapacità cronica dell’essere umano contemporaneo di ritagliare un po’ di tempo libero per sé, a causa di uno stile di vita talmente frenetico e usurante da rivelarsi incompatibile con le più nobili attività della mente, quali la riflessione, il pensiero e il godimento dell’arte. L’impossibilità, insomma, di vivere praticando la slow life. Ciò detto, Zeller sdrammatizza –legittimamente- quello che io ritengo essere un vero e proprio problema sociale dei nostri tempi, ricorrendo a un tipico cliché narrativo comico –il dover rimandare qualcosa che si vuol fare a causa di continui imprevisti- per mostrarci l’incredibile difficoltà nascosta dietro ad un desiderio apparentemente semplice e scontato da esaudire: ascoltare un disco in santa pace.

La scenografia è piuttosto essenziale ma ben realizzata, e riproduce il luogo in cui si svolge tutta la vicenda: l’appartamento di Michel, un loft in stile futuristico con vista sulla Tour Eiffel; tra gli scarni arredamenti interni spicca un inquietante, e quanto mai profetica, testa di toro con grandi corna… Molto variegato, invece, il campionario sonoro dello spettacolo, tra musiche, suoni & rumori: brani jazz, schitarrate hard (very hard!) rock, una spassosa citazione da Incontri ravvicinati del terzo tipo (il jingle della porta a combinazione dell’appartamento di Michel), l’incredibile suono di “avviso di ricevimento sms” –un incrocio tra una sirena da transatlantico e una tromba da stadio-  del cellulare di Sebastien, l’insopportabile cacofonia prodotta dalle “riparazioni” di Leo…

Che dire? Per ridere, si ride, e le situazioni esilaranti non mancano. Peccato, però, che la macchina della risata funzioni a intermittenza, senza, cioè, che si venga mai a creare quell’”effetto raffica” in cui si ride senza quasi riuscire a riprendere fiato. A momenti di puro delirio comico gustosamente caotico, si alternano fasi di “stanca” in cui il testo pesca da una comicità più “telefonata” -situazioni viste e riviste da “commedia degli equivoci”- e, forse, un po’ troppo infantile, e in questi casi tanto le battute quanto le gag visive non ottengono l’effetto comico sperato. Non tutti i personaggi secondari, poi, funzionano: se la mimica stralunata del caricaturale Sebastien/Alessandro Giuggioli -impagabili i suoi selfie nei momenti più “drammatici” della storia- strappa più di una risata, convincono meno i due personaggi “stranieri” della commedia, cioè quello dell’idraulico pasticcione Leo e quello del vicino polacco importuno e impiccione Pavel, (quest’ultimo, interpretato da Claudio Bigagli, attore che gli appassionati di cinema ricorderanno nel ruolo del tenente Montini nel film “cult” Mediterraneo di Gabriele Salvatores), entrambi “forzati” e faticosi; un po’ spaesato Massimo Ciavarro, pur nella brevità della sua parte. Quanto al protagonista, Ghini si spende e si spande con notevole verve ma, nonostante le sue indiscutibili doti di attore di razza e grande intrattenitore, non può certo sopperire, da solo, alle mancanze di una commedia che, a tratti, perde qualche colpo… La sua presenza, comunque, almeno in questa serata cortonese, sembra essere riuscita a far passare in secondo piano i suddetti punti deboli dello spettacolo, almeno a giudicare dall’ampio consenso manifestato dal pubblico; un consenso che ho trovato, come minimo, generoso. Lunga ovazione finale, con numerosi spettatori ad applaudire in piedi: troppa grazia!

Francesco Vignaroli

di Florian Zeller
con Massimo Ghini, Galatea Ranzi, Claudio Bigagli, Massimo Ciavarro, Gea Lionello, Luca Scapparone, Alessandro Giuggioli
regia Massimo Ghini
scenografia Roberto Crea
costumi Silvia Frattolillo
luci Marco Palmieri

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