Dal 31 Gennaio al 5 Febbraio 2017 il Teatro Nuovo di Verona
Dal 31 Gennaio al 5 Febbraio il Teatro Nuovo di Verona ha ospitato la tragedia del Macbeth, ultimo lavoro firmato dal regista Luca de Fusco, nato dall’affiatata sinergia del Teatro Stabile di Napoli e del Teatro Nazionale di Catania, in occasione dei quattro secoli dalla morte di William Shakespeare. Dopo Antonio e Cleopatra e Orestea, de Fusco torna sulle scene con questo Macbeth dalla logica visuale visionaria e onirica che asseconda il testo forse più surreale del poeta e drammaturgo di Stratford-upon-Avon. La scena inizia in medias res, senza fronzoli e curata nei dettagli, presentandoci una versione integrale del classico del Bardo, con le sue atmosfere tetre dai toni scuri e offuscati che preannunciano da subito la fine disastrosa.
Tutto di questa messinscena resta nella memoria dello spettatore, dal groviglio di corpi perfetti delle tre streghe che, sbucanti da un enorme pietra in una foresta, ci trattiene con gli occhi puntati su tanta sinuosità magnificente al volto di un bambino con la corona che medita un pareggio di conti. Questo gruppo collaudato di diciassette professionisti mette su un’opera ibrida che intreccia teatro, musica e danza e dove un ruolo centrale lo giocano le video proiezioni dei volti, silenti o parlanti che siano, delle aquile reali e delle civette – continuo è infatti il riferimento ai rapaci nel testo shakespeariano – dello spettro di Banquo, del suo pugnale insanguinato, le luci cinematografiche quasi da proiettori anni Quaranta e il gioco di specchi che ci mostra le espressioni degli attori anche quando sono di spalle. La scenografia poi è spesso in movimento nella sua loquacità e imponenza, e ci mostra come un letto nuziale di pietra al centro del palco possa diventare tavola imbandita e trono regale a seconda delle scene, e poi ancora la fitta foresta di Scozia ricostruita attraverso un abile sistema di più teli di listarelle finissime calati dall’alto. Last but not least le voci profetiche, vere o sognate, intervallano spesso il fluire degli eventi per trasmettere ancor di più un’aurea da incubo al capolavoro. Il regista inscena un meccanismo da orologiaio, ogni momento è pensato e funziona, non ammettendo spazio alla noia o a cali di tensione, dall’uccisione di Duncan al delirio sonnambulo di Lady Macbeth con in mano il suo candelabro, interpretata dalla suprema Gaia Aprea, dal monologo finale del despota, il magistrale Luca Lazzareschi, sino alla sua uccisione e all’incoronazione del nuovo sire.
Questo Macbeth emoziona e rapisce, sperimenta linguaggi e tecniche nuove, installazioni video magiche, riportando sulle scene un mito senza tempo che, come ogni opera di Shakespeare che si rispetti, reca con sé il fascino dell’ambiguità, dell’allusione, dell’accennato, del mistero: anche questa trasposizione tragica mantiene il sapore del lieto fine, dell’uccisione del tiranno dopo la carneficina, della bonaccia dopo la tempesta.
Chiara Cataldo