Teatro di Lonigo, Vicenza. 7 Febbraio 2017
Nella splendida cornice del Teatro di Lonigo il 7 Febbraio si è aperto il sipario su “Minetti, ritratto di un’artista da vecchio” prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, per la regia di Roberto Andò e con attore protagonista l’immenso Roberto Herlitzka, congeniale al ruolo per umore e autorevolezza. In scena Herlitzka è Bernhard Minetti, mostro sacro e interprete di molti testi di Thomas Bernhard, che ha scritto un’opera apposta per lui. Qui l’attore tedesco, anziano e solo, trascorre una piovosa notte di San Silvestro, squarciata da tuoni e fulmini, nell’attesa del direttore del Teatro di Flensburg, moderno Godot, al bicentenario della nascita. Il direttore infatti gli concede di andare in scena l’ultima volta dopo trent’anni nei panni di Lear, ruolo a lui molto caro, tanto da recitarlo in privato ogni 13 del mese in tedesco e in inglese davanti a uno specchio. Questa contingenza diventa motivo di imprecazione sul senso del teatro, sui suoi direttori, sulla società, sul pubblico e sulla letteratura classica, in cui si spinge sino al grottesco il linguaggio- sembra di risentire Carmelo Bene – ove l’attore e lo scrittore si distruggono a vicenda.
Qui Minetti, come Re Lear o un odierno Shylock, è l’eroe della sconfitta: la ricerca forsennata del giusto timbro e del ritmo è un’impresa destinata al fallimento e alla follia, unico orizzonte ipotizzabile. Questo vinto parla per un’ora e venti minuti ad un manipolo di esseri bizzarri: una donna in rosso e brilla che talvolta indossa la maschera di una scimmia, una ragazza in minigonna che aspetta il suo boy ascoltando musica pop, ubriachi, storpi, nani e giovani irriverenti in bisbocce, col viso ricoperto di biacca, portiere e facchino compresi. Tutti questi sinistri figuri indossano le maschere di Ensor, pittore belga e precursore dell’espressionismo tedesco, nonché autore della maschera che l’attore porta con sé nel valigione da cui non si separa mai. Grande sogno – irrealizzato – quello di interpretare Prospero e di far sparire le persone: riuscirà però a dissolversi in chiusura trangugiando pillole e indossando la maschera di Lear, su una poltrona sarà inghiottito da una tormenta di neve davanti a un fondale che ricorda il Mare del Nord. La messinscena è fatiscente, polverosa, spettrale, alla David Lynch e immersa in una nuvola luminosa giallo-arancio, l’azione avviene nella portineria di un hotel demodé, con tanto di tappezzeria antiquata, lampadari squadrati, pianoforte, ascensore a vista e poltrone di pelle anni Settanta.
Questo Minetti-Herlitzka coinvolge sino al magnetismo, non è sociale ma elitario, scardina le abitudini e mette in crisi tutto, dal linguaggio al senso: il teatro ritorna così al ruolo sacrale dei suoi esordi.
Chiara Cataldo