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La passione per la lirica, uno smisurato e generoso affetto fraterno, la scaltra saggezza d’un fedele servitore nella positiva commedia virtuale “Volevo il maggiordomo”

Data:

Teatro Roma, fino al 26 febbraio 2017

Nella crisi socio-economica dei tempi moderni con la perdita dei valori primari qualificanti la persona, è utile ritrovare l’inclinazioni ed attitudini singole come pure gli affetti familiari e riportare l’attenzione sulla necessità della prevenzione sanitaria per scongiurare le patologie terminali ed i mali del secolo. Questi sono i concetti principali del testo di Mario A. Paolelli: “Volevo il maggiordomo” in cui Maria e Giona, figli di un notaio e di una docente appassionati di musica classica, vivono insieme nella magione avita facendo lui la comparsa nel cinema e leggendo giornali mentre ascolta arie d’opera, quali “Il barbiere di Siviglia” e “Carmen”; mentre Maria è segretaria in uno studio dentistico, oltre a provvedere alle pulizie domestiche. Naturalmente l’alto volume le scuote il sistema nervoso e tiene celato in sé il piacere del cucito, ma è soprattutto tormentato dall’esito d’alcune analisi cliniche e biopsie. Il fratello, dal nome strano scelto sulla Bibbia, ha avuto la lastra con il referto che l’inducono per amore a nasconderli mentendo,assumendo però un maggiordomo come apparente segno di distinzione nel palazzo,con un sottinteso fine nobile che tuttavia, Maria non capisce andando su tutte le furie in quanto lei è la “regina del focolare”, e le precarie condizioni economiche non consentono una nuova spesa mensile.Intanto si consola con una grezza, ignorante e spocchiosa macellaia proprietaria di una catena di macellerie che li riempie di fegati,filetti,fettine di vitella ed arrosticini, che hanno la vitamina A, ritenuta la più importante nel suo scriteriato metro di giudizio.Il cameriere nella sua rozza mentalità di “parvenu”, viene scambiato per un immigrato dell’est, mentre il più colto ed intuitivo Giona non ci metterà molto a capire la vera identità di Ambrogio Fumagalli, che si comporta in privato come una vera macchietta partenopea il cui vero nome è Ciro. Egli con la sua flemma e sarcasmo albionico non ci metterà molto a capire le personalità di ciascuno, partendo da Martina la commerciante che prende allegramente in giro in modo sornione e consigliandole di cambiare tono con Giona se vuole di nuovo accasarsi,dopo aver divorziato.In Maria riscopre una sua fiamma giovanile ed appresa per caso la verità sulla sua salute,fa in modo che si realizzi il suo sogno di sarta cucendo le maglie per le squadre del Nocera inferiore. Riesce a galvanizzare pure Giona per conquistarsi un posto da “corista” nella Carmen di Bizet. Insomma in un ritmo crescente aumentano le note di Giona e svelamento dei propri cuori tra un colpo di scena e l’altro, le varie gags: il diavolo, comunque, è invidioso e ci mette lo zampino in tanta ritrovata unità e felicità, da “Libro cuore”, per cui tutto sembra destinato a finire male per il contenuto di quel maledetto cuscino.Siamo, però,in una commedia e non in un dramma tragico per cui forse, ci sarà un intervento “ex machina” euripideo dall’esterno o virtuale a capovolgere l’esito della pièce secondo i canoni teatrali.Ma quale sarà in questo delizioso e sentimentale lavoro?A voi individuarlo apprezzando l’ottima interpretazione ilare e psicologica di F. Avaro ed E. Casertano,bene assecondati con empatia e sinergia dalla caricaturale M. Chiara Cimini e dalla grintosa prima e poi ossimoricamente tenera Antonia Di Francesco,che assurge a protagonista del finale. La regia è di R. D’Alessandro che punta all’intimità psicologica ipertestuale del didascalico divertimento. Al teatro Roma fino al 26/02.

Susanna Donatelli

FABIO AVARO –  ENZO CASERTANO
MARIA CHIARA CIMINI – ANTONIA DI FRANCESCO
REGIA ROBERTO D’ALESSANDRO

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