Roma, Teatro Studio Uno (via Carlo della Rocca 6) dal 30 marzo al 9 aprile 2017
L’eterno fascino del racconto è in scena al Teatro Studio Uno di Roma, piccolo spazio off periferico, dal 30 marzo al 9 aprile, con La leggenda del pescatore che non sapeva nuotare, un gioiellino creato dall’autrice (nonché interprete) Agnese Fallongo e diretto magistralmente da Alessandra Fallucchi. Se è vero che raccontare storie è la scintilla da cui nasce il teatro, è pur vero che bisogna saperlo fare con arte per incantare il pubblico che, vivaddio, ancora oggi è attratto da questa necessità atavica. Conoscere “da dove vengono le cose”, da dove veniamo noi, le mille radici di un popolo, è molto più di uno spettacolo su un palcoscenico. L’intrigante titolo della pièce è proprio dell’ultima delle quattro vicende rappresentate, quella del pescatore calabrese Mamozio, che chiude la serata in un crescendo di struggente poesia. Ma ogni personaggio, ogni storia, è una sorpresa emozionante, un’altalena tra il divertente ed il drammatico che non ha soste, nemmeno una per poter applaudire l’attore di turno. Merito della regista, che non lascìa interrompere la magia per tutta la durata dello spettacolo, collegando una storia all’altra con un bellissimo utilizzo dei movimenti scenici e della musica suonata dagli stessi interpreti, drammaturgia nella drammaturgia, in un meccanismo perfetto di sincronismi. I giovani attori sono, ognuno con le proprie caratteristiche, straordinari per espressività e capacità di coinvolgimento emotivo. Da Teo Guarini, che apre con il personaggio del bell’Arturo, pizzaiolo canterino della Garbatella, ad Eleonora De Luca con la sua Maria, ragazza siciliana ingenua, amante del ballo, ed il suo “figlio dello sbarco” americano, dalla stessa Agnese Fallongo che da vita a Reginella, donna napoletana che non vuole sentir parlare di uomini a ragion veduta, fino a Domenico Macrì ed il suo pescatore calabrese che non sa nuotare, storia di bellezza catartica.
Personaggi di grande tenerezza, disillusi e traditi, sognatori e fiduciosi, veri o leggendari. C’è veramente tanta vita in questo testo, una poetica del vivere che fa bene al cuore. La fortuna è anche quella di aver affidato il tutto ad una regia che sa come mettere mano a così tanto bel materiale drammaturgico per restituirlo ad un pubblico letteralmente rapito ed assorto (incredibile, ma vero) in platea. Tutti sempre sulla scena, tutti sempre funzionali alla storia di turno, senza pause o bui. Le emozioni non si interrompono, diceva un vecchio spot. Da vedere.
Paolo Leone