Trieste, Politeama Rossetti, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Grande del Teatro Stabile Sloveno, 17 e 18 maggio 2017
Il Teatro Stabile Sloveno ospita l’ultimo spettacolo del cartellone “Altri Percorsi” del Politeama Rossetti. Fin qui niente di nuovo, vista la stretta e viva collaborazione tra le due istituzioni che dà ad entrambe la possibilità di avere a propria disposizione la sala meglio adatta a quel particolare allestimento e favorire così una scelta molto più ampia da proporre al pubblico, trasformando la realtà teatrale triestina in una enorme “multisala diffusa”.
Non deve essere semplice; quando avviene c’è un movimento di organizzazioni e persone che si intravede già all’ingresso; in quest’occasione, ad esempio, i biglietti stampati dalla biglietteria del Rossetti sono stati consegnati dal personale di quell’ente al botteghino del teatro ospitante.
Questa volta si aggiunge un ulteriore tassello: i sopratitoli non sono in italiano ma riportano la traduzione in lingua slovena; se si considera che il Teatro Stabile Sloveno è un fondamentale punto di riferimento di questa cultura, ben radicata sul territorio, risulta chiaro quanto questa reciprocità sia sostanziale e l’ospitalità accogliente, non di pura facciata.
Infine, Le sorelle Macaluso viene recitato in un siciliano più o meno stretto, di non facile comprensione all’estremità nordorientale della nostra nazione anche per il pubblico italofono.
L’iniziale senso di smarrimento dovuto a questa curiosa babele, chiaramente palpabile in sala, si è presto dissolto grazie alla potenza drammaturgica del testo, all’intensa realizzazione scenica e alle indubbie doti interpretative della compagnia che costituisce un organismo multiforme ma unitario e che non ha senso scomporre descrivendone i singoli componenti, tutti parimenti necessari: Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi e Stephanie Taillandier.
Emma Dante, autrice e regista, ci spinge con forza in un mondo ricolmo di poesia e forza narrativa, in cui i vivi dialogano con naturalezza assieme ai morti lasciandosi guidare senza alcuna remora dai fortissimi sentimenti provati . Proprio attraverso questo scontro riescono a fare pace con un passato personale e collettivo, lacerante in vario modo per tutti.
Siamo in una Magna Grecia contemporanea, luogo in cui l’implicito regna, il silenzio urla e l’elemento simbolico pervade ogni attimo: nel duello iniziale, vero e proprio prologo senza parole, gli attori hanno le movenze dei pupi siciliani, esattamente come i morti in alcuni momenti successivi e soprattutto nel finale.
“Che ne sai della mia vita?” è la domanda, aperta, problematica ed essenziale, che il padre Antonino fa alla figlia Katia, la più ribelle tra le sette; la madre, da parte sua, autorevole e perfettamente padrona della situazione, pone invece ordine e infonde armonia, dicendo: “Avete tutte torto, e avete tutte ragione, sempre. Ma vi dovete voler bene…”. È significativamente l’unica ad essere priva di nome proprio.
La morte è presente sempre e, da vera primadonna, ha l’ultima parola, ma lo fa in modo tacito unendo, in una danza che si fa sempre più scarna, i sogni e i desideri irrealizzati e concedendo finalmente, a chi la sta eseguendo, quella serenità che ai vivi non era stata concessa.
Paola Pini