Marvel Cinematic Universe e DC Extended Universe ormai fanno a gara a chi confeziona il film peggiore. Ma se da un lato la Marvel si mantiene ad un certo costante, seppur mediocre, livello, dall’altro lato del ring la DC quel livello lo abbassa costantemente, film dopo film: e quando pensi abbia toccato finalmente il fondo (Suicide Squad) scopri allibito che ancora conserva un margine così ampio da poter scavare, che non puoi che chiederti solamente, e con relativa speranza ormai, quando finirà questa terribile agonia. Perché la visione di Wonder Woman è stata a tutti gli effetti una terribile agonia che nemmeno la bellezza divina di Gal Gadot, sfruttata malissimo dalla regista Patty Jenkins, è riuscita a mitigare, anche solo parzialmente. No. Ogni primo piano una smorfia del viso o un ammiccamento degli occhi privi di senso (estetico e narrativo), ogni totale una posa del corpo con ancora meno senso (questa volta anche iconico, relativo al personaggio), ogni parola un vuoto cosmico.
Smorfie, pose, banalità. Wonder Woman è questo. Un film che si specchia, ma si scopre brutto, vuoto, inutile. Ennesimo prodotto commerciale fatto senza passione e senza rispetto per l’intelligenza del proprio spettatore, ormai abituato a mangiare questa roba tanto da essere completamente assuefatto e non riuscire più a riconoscerne il sapore amaro e gli effetti collaterali devastanti, per la sua sensibilità artistica (difficile usare aggettivi legati all’arte in questo senso) e il suo gusto del divertimento (quello puro e vero).
L’antica Grecia e la storia moderna probabilmente non possono convivere già a priori in un’opera cinematografica, tanto tanto su pagine di un fumetto. E una sceneggiatura scritta dal solito elaboratore automatico che alla solita intelaiatura di base riveste intorno una confezione di nomi, volti, e scenari diversi; didascalica fin dal primo dialogo, frettolosa e apnoica, stanca già prima di iniziare la corsa, prevedibile oltre la previsione, come se lo stupore (principio cardine del cinema) sia qualcosa di superato; ecco una sceneggiatura così non poteva avere le benché minime pretese di rendere questo dialogo tra antico e moderno un qualcosa di stimolante. Piuttosto riesce a spargere ridicolaggine un po’ dappertutto, anche laddove il contrasto di modi, costumi, usi, tra Diana e quel mondo nuovo e avanzato, avrebbe potuto creare un sano e semplice umorismo. Wonder Woman non ci strappa nemmeno un sorriso. Ma solo frustrazione. Il discorso sulla guerra, inoltre, è da prima elementare; l’arrivo all’amore come soluzione di tutto, e l’adesione in qualcosa a cui credere, sono gli approdi più scontati (e questo non è per forza un male, l’amore e la fede sono scontate come soluzioni), e in questo caso assolutamente incoerenti, perché il film della Jenkis l’amore non lo racconta manco di sfuggita in un dettaglio.
E poi il villain. Quando lo capiranno che l’antagonista in queste produzioni è tutto? È più importante del protagonista? Quando? Di certo non quando prendi la strega imbarazzante di Suicide Squad, tutta impalata, avvolta da esplosioni e luci blu, e la trasferisci in un altro film, la chiama Ares, le dai un volto maschile, e fasci di luce rosso-fuoco, tipiche del dio della guerra: perché così l’imbarazzo sale in maniera esponenziale. E il ridicolo non solo ricopre tutto, ma entra proprio nelle viscere, nel di dentro.
Un giorno tutto questo finirà. Il mio consiglio dopo aver assistito a questi spettacoli cinematografici desolanti? Spurgarsi con qualche cine-fumetto di valore assoluto, che per fortuna, qualcuno ci ha regalato. Quindi riprendete la trilogia di Batman di Nolan, o i film di Tim Burton, o andate sugli Spider Man di Raimi. Insomma qualcosa c’è per ritrovare l’indirizzo di casa cinema. È urgente. Perché ci stanno facendo girare in tondo in mezzo al nulla, da molto tempo ormai. E non ce ne accorgiamo.
Voto 3 su 10
Simone Santi Amantini