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“Metro Manila” di Sean Ellis, un thriller dal retrogusto politico

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A quattro anni dalla sua uscita, è finalmente distribuita anche in Italia la seconda opera dell’eclettico Sean Ellis. Dopo Cashback, quindi, è la volta di Metro Manilasceneggiatura, regia, fotografia e produzione firmate da Sean Ellis.

 Non stupiamoci troppo dei tempi di gestazione. Il solo soggetto aveva richiesto 18 settimane, la distribuzione ne è una degna emulazione. Però non osiamo immaginare quando riusciremo a vedere in sala Anthropoid, lavoro dello scorso anno basato sulla reale missione militare Anthropoid. Lo scopriremo vivendo.

Intanto possiamo recuperare Metro Manila, che già nel 2013 è stato ben accolto in vari festival; ha vinto il Premio del pubblico al Sundance, il Premio della Critica ad Amburgo e un tris di riconoscimenti al British Indipendent Film Awards (Miglior film, regia e produzione).

Metro Manila è piaciuto, nonostante sia una forte come un pugno nello stomaco.

Il film è la storia di una coppia, Oscar e Mai Ramirez, che si vedono costretti ad abbandonare il nord delle Filippine, dove il lavoro nelle risaie scarseggia, per cercare un futuro migliore a Manila. La capitale, però, si mostra subito insidiosa e soffocante, li travolge, rendendoli facili prede di manipolazioni. Incinta e con due bimbe da accudire, Mai diviene ballerina in un bar di striptease, mentre Oscar trova un’occupazione come portavalori presso una società che registra un alto tasso di mortalità.

Il film si presta ad una divisione in due tronconi: una prima parte sociologica, girata a Nord del Paese, in cui Ellis si concentra sui legami familiari, sull’intesa tra Oscar e Mai, sul sacrificio richiesto quotidianamente dal ménage domestico, e una seconda parte, tutt’altro che bucolica, ambientata nella selva urbana, il vero e proprio thriller. In effetti, Metro Manila si presenta come un thriller, con delle svolte narrative, un intrigo, una valigetta scomparsa, eppure la storia è lenta a decollare. Forse sarebbe stata utile un’ulteriore revisione della sceneggiatura, per rendere più fluido il passaggio tra la prima e la seconda parte e snellire quest’ultima, in alcuni punti eccessivamente didascalica.

Per la sua prima opera girata all’Estero, Ellis confeziona un ritratto di Manila teso e opprimente, o meglio, fotografa l’imperialismo immorale del capitalismo, in grande e piccola scala.

La capitale è brulicante, le facciate grigie dei palazzi sono state ingiallite da filtri, i personaggi sono madidi di sudore e ripresi da una telecamera pesante. La miseria della coppia contadina porta i Ramirez nella bidonville di Quezon City, nella zona nord-est della città, dove i due si fanno truffare dagli scaltri residenti, che sanno gestire il denaro molto meglio di loro. Manila è una darwiniana selezione naturale: gli ingenui sono destinati a soccombere, sebbene la coppia cerchi di non perdere mai la fiducia riposta in Dio.

Girato in tagalog, una delle centosettanta lingue parlate nelle Filippine, il film è quasi privo di accompagnamento musicale. I sottotitoli sono d’obbligo e l’audio originale, funzionale all’obiettivo del regista, ci riporta ad un altro aspetto del capitalismo, il colonialismo. Se è vero che il tagalog registra fortissime influenze del francese e dello spagnolo, è altrettanto vero che il flusso linguistico ipnotico del film viene interrotto da parole a noi familiari, come bicicletta, libro, agosto. Sean Ellis fa sentire lo spettatore un ricco e sporco privilegiato, nel suo confortevole quotidiano. Film utile.

Maria Vittoria Solomita

Titolo: Metro Manila
Regia: Sean Ellis
Sceneggiatura: Sean Ellis, Frank E. Flowers
Fotografia: Sean Ellis
Montaggio: Richard Mettler
Musica: Robin Foster
Scenografie: Ian Traifalgar, Alfie Antonio Orseo
Costumi: Iluminada Medrano
Interpreti: Jake Macapagal, Althea Vega, John Arcilla, Reuben Uy, Angelina Kanapi, Leon Miguel
Produzione: Chocolate Frog Films
Distributore: Bunker Hill
Origine: UK
Durata: 115’
Ufficio Stampa: Reggi&Spizzichino Communication

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