C’è stata una generazione cresciuta nella convinzione che Primo Carnera (50esimo della morte, oggi) fosse l’uomo più forte del mondo. Più di Ursus, di Sansone, di Maciste e di tutti quei personaggi mitologici dei nostri nonni, che non conoscevano i supereroi.
Poi, di questo Carnera non se n’è parlato più.
Improvvisamente.
Come se fosse diventato qualcosa di imbarazzante, e dunque da nascondere dentro un armadietto chiuso a chiave… Nonostante sia stato uno dei più famosi pugili italiani di tutti i tempi e forse (ma potrei sbagliarmi) l’unico a conquistare la corona mondiale dei pesi massimi. Che di tutte le categorie è la più prestigiosa.
Capita anche quello. Soprattutto se poi ti fanno diventare un simbolo politico, più che sportivo. E soprattutto se sviluppi la tua carriera nel bel mezzo di una dittatura, che di questo genere di campioni ne è notoriamente ghiotta. Per questioni di prestigio, di immagine e di propaganda.
Perché una dittatura finisce, prima o poi.
Ma per farla finire occorrono passaggi violenti, tipo una rivoluzione, o una guerra, con tutto quello che si portano dietro. E allora bisogna riscrivere la storia, facendo un bel mazzetto di tutto quello che è successo e gettandolo nel tombino… Acqua sporca e, talvolta, il bambino che c’è dentro.
A Carnera, poveraccio, successe così.
Popolarissimo in un’epoca piena di retorica e di parapaponzi, dove tutto faceva brodo per alzare il morale di gente povera e affamata ma pur sempre protesa alle ore segnate dal destino e alla gloria di Roma Imperiale; ed eccolo, allora, il Gigante Italiano che abbatte a suon di pugni i nemici perfidi e cattivi, simboli delle immancabili demo-pluto-democrazie. E l’orgoglio dei nostri emigranti, ovviamente; che in America erano la comunità più numerosa (con gli Irlandesi), e bisognava regalargli un idolo sportivo per tenerli un po’ buoni.
Di quell’Italia, il prode Carnera era il campione e il vindice. E lo era a tal punto che quando trovava qualcuno più forte di lui, non se ne dava la notizia: “mai pubblicare foto di Carnera a terra”, ordinava una circolare del famigerato Minculpop (che era una specie di ufficio della censura).
Non era, ovviamente, l’uomo più forte del mondo.
Né il più grande pugile della storia.
Era piuttosto un boxeur potente, ma assai grezzo, che ad un certo punto fu molto funzionale al giro delle scommesse e degli incontri combinati, che nel pugilato non mancano mai. E infatti, quando si trovò davanti pugili decentemente impostati e di buona tecnica, Carnera non ebbe scampo.
Poi, arrivò la guerra. E con essa, il declino dell’atleta e soprattutto di tutto quello che ,suo malgrado, Carnera aveva finito per rappresentare.
Si ritrovò solo e spiantato, messo in mezzo da investimenti sbagliati e ruberie varie: per combinare pane e minestra si ridusse a fare l’attrazione di un circo equestre, con tanto di costumino leopardato, precursore dell’odierno wrestling.
E intanto cresceva la nostalgia per l’Italia che di lui, però, non ne voleva più sapere o quasi.
A Sequals (dove era nato, in Friuli) tornò giusto per morire. E, anni dopo, gli dedicarono un museo così piccolo e insignificante che persino gli abitanti del paese ne ignoravano l’esistenza.
Così, finirono per ammazzare due volte Primo Carnera, il Gigante Buono.
Che un grande campione non lo fu mai.
Ma fu invece un uomo semplice e perbene, costretto a recitare un ruolo spropositato che la storia gli aveva cucito addosso
“Muoio felice”-disse al termine dei suoi giorni- “Perché ho preso tanti cazzotti in vita mia. Ma rifarei tutto, perché quei cazzotti sono serviti per far studiare i miei due figlioli”.
Che, infatti, diventarono, lei una stimata insegnante e lui un eccellente medico.
E furono la vittoria più bella di Carnera.
Riccardo Lorenzetti