Dal 7 al 9 luglio 2017 al Festival dei Due Mondi di Spoleto
Dal 7 al 9 luglio il Festival di Spoleto ospita lo spettacolo Aveva due pistole da gli occhi bianchi e neri di Dario Fo, con la regia di Meng Jinghui.
Pare significativa la scelta della compagnia di rappresentare proprio questo testo di Dario Fo, che denuncia il sistema mafioso e si interroga sugli elementi che stabiliscono l’identità dell’individuo. Infatti il regista Meng Jinghui, direttore artistico del Fringe Festival e del Bee Hive Theatre di Pechino, oltre che co-fondatore del WuzhenTheatre Festival, è un punto di riferimento del teatro contemporaneo cinese, riqualificando la posizione del teatro nella società.
La sua regia si confronta con l’umorismo di Dario Fo, esaltando attraverso la propria cultura le chiavi comiche, e valorizzando le critiche socio-politiche che possono essere riadattate nel proprio contesto.
La scena ha un unico allestimento: il manicomio, ci sono grandi letti tutti intorno, in un palco molto profondo. La vicenda ha inizio con la presentazione dei pazienti al medico, tra questi ne è uno di cui si è smarrita l’identità e si crede il Giovanni che sta cercando una donna. In realtà il vero Giovanni tornerà dopo, la donna si ritroverà con due uomini in casa, scoprendo che il secondo la rispetta e le dedica attenzioni più del marito.
La storia diventa piano piano un giallo perché Giovanni è un ladro e la polizia lo sta cercando. Tra malintesi e inseguimenti il protagonista perde la vita ed ecco che il suo alter-ego ha un’idea brillante: fondare un sindacato dei ladri. Indicendo uno sciopero costringe poliziotti, proprietari di garage e giornalisti a supplicare i ladri di tornare a lavoro. A quel punto chiedono di essere riconosciuti dallo Stato, che stabilisce di essere fondato sul furto.
La scena così resta la medesima, sono gli attori che stabiliscono il cambio di location dal manicomio, alla casa di Giovanni, al commissariato, con dei piccoli cambi di costume, spostando delle sedie e mimando le situazioni. Angela mostra una fotografia del marito sul palmo della mano, ma non ha nulla, gli oggetti in scena sono essenziali, il resto si può mimare e immaginare. Lo spettacolo è supportato da coreografie che sfociando nel musical. Con l’utilizzo di chitarre cantano e ballano e il movimento corporeo si innalza sopra la parola e l’azione. La compagnia dimostra una grande padronanza del proprio corpo, con un’impeccabile precisione e coordinamento.
I momenti di ballo sono molti, i passi vengono riutilizzati in più momenti, con una connotazione comica, lontana dalla nostra cultura. Il loro linguaggio è costituito da immagini simboliche che stereotipano un sentimento o un’idea. Per noi potrebbe sembrare una banalizzazione ma non lo è affatto nella coerenza della loro costruzione plastica. Si tratta di un approccio diverso al testo e all’interpretazione che sono a sostegno di una tradizione e storia culturale. Il punto d’interesse è come il medesimo messaggio possa essere comunicato in maniera differente per raggiungere la stessa reazione nel pubblico.
Il valore dell’esperienza è stato confrontarsi con una realtà lontana che sta muovendo dei passi avanguardistici nel panorama cinese e scoprire che lo fa utilizzando un testo di un artista italiano ci riempie di orgoglio.
Lo spettacolo si chiude con i personaggi che ritornano a indossare i panni dei matti e invece dei classici inchini, si muovono sul palco e a poco a poco scompaiono, proprio come sono apparsi.
Federica Guzzon