Nel Chiostro ‘Nina Vinchi’ del Piccolo Teatro di Milano si è svolta il 20 novembre la Cerimonia di premiazione della XIII edizione di ‘Il Premio Fersen, alla Drammaturgia e alla Regia contemporanea italiana . Ombretta De Biase ha aperto la serata ricordando che il Premio, di cui è fondatrice e curatrice, fu creato nel 2003 con il duplice obiettivo di rendere un omaggio non effimero a uno dei massimi innovatori del teatro europeo del XX secolo, Alessandro Fersen, e, al contempo, dare visibilità e diffusione alle opere di drammaturghi e di registi viventi italiani che la giuria giudica meritevoli di essere posti all’attenzione dei teatri istituzionali per originalità e attualità delle tematiche. Fra gli ospiti della serata è poi intervenuto il Direttore della Fondazione Alessandro Fersen, Pasquale Pesce, con sede a Roma e Genova, che ci ha parlato della nascita, delle finalità e delle attività della fondazione stessa. In seguito il presidente del Premio, Andrea Bisicchia, ha ricordato il pensiero del Maestro, illustrando le basi della sua ricerca teatrale rivolta ad un rinnovamento totale dell’arte della recitazione, quindi svincolata dagli psicologismi dell’ormai obsoleto teatro borghese e fondata sul concetto filosofico dionisiaco del teatro come rito ancestrale, risalente ai primordi della storia dell’uomo. Con Alessandro Fersen nasceva quindi una nuova drammaturgia non più dipendente dalla parola nella sua forma logica, ma dalla memoria di un tempo arcaico, prelogico, denso di significati e ricco di immagini e di linguaggi diversi.
E il rito è riconoscibile anche nelle opere e negli spettacoli premiati e pubblicati nel tredicesimo volumetto antologico omonino, intendendo con ciò fare riferimento alle universali metafore che, con varie modalità, emergono, aldilà della parola scritta e detta, dalle opere premiate. L’evento si è infine concluso con la lettura di brani dei copioni, recitati in parte dagli attori del G.A.M. (Gruppo Attori Milanesi), Domitilla Colombo e Marco Mainini, e in parte dagli stessi autori, e con la proiezione dei trailers degli spettacoli. In una sintetica ma spero esauriente rassegna cito, per i testi:
Cuore nero di Pietro Favàri
In bilico fra il noir e la denuncia sociale, l’autore propone un testo apparentemente surreale, nel suo crudo e cruento realismo, sul moderno e mostruoso fenomeno del traffico d’organi. Vediamo un cardiopatico grave, nostalgico degli anni ’70, ex-mercenario e autore di nefandezze in Africa, che compra e porta a casa sua una minorenne africana appena sbarcata dai gommoni di migranti. Vuole conoscerla prima di farle espiantare il cuore. Durante la convivenza fra i due si stabilisce una sorta di rapporto filiale che porta l’uomo a rinunciare al delitto, tutto sembra volgere per il meglio ma… Un valido testo nella sua citazione conradiana e secondo una modalità cinematografica alla Apocalypse now.
iI ricatto di Francesca Bartellini
L’autrice propone un dramma in cui un Michelangelo non misogino prende le difese degli ebrei romani contro il Papa Paolo IV. Siamo nel 1555 quando Lia, una giudea che in passato gli aveva fatto da modella per il volto della Sibilla Delfica, gli comunica una terribile notizia: il Papa intende far costruire un muro intorno al ghetto. Michelangelo si reca dal papa per convincerlo a rinunciare al progetto. Il finale a sorpresa conclude un testo il cui sottotesto mette in relazione: muro del ghetto, muro del pianto e muro di Berlino in una efficace prospettiva post-moderna ad alta rappresentatività.
La Romina di Lavinia Magnani
La giovane autrice presenta un testo dal sapore zavattiano, ambientato in un ameno villaggio romagnolo dal ritmo di vita lento e pacifico. Qui un’anziana madre malandata e una figlia quarantenne, rimasta ‘un po’ bambina’, vivono le loro ‘passeggiate rituali’ sorreggendosi a vicenda mentre gli abitanti del luogo, con i loro commenti e pettegolezzi, fanno da contorno. Romina ha però un grosso cruccio, vorrebbe andare a scuola ma la madre per un motivo o per l’altro, come il messaggero di beckettiana memoria, le risponde che potrà di certo andarci ma…domani. Il finale a sorpresa conclude questa commedia dal sapore fiabesco ma dal sottotesto amaro in quanto richiama alla memoria la vocazione tirannica di certe madri.
Mosaico di donna- vetustà di Cecilia Bernabei
Prima parte di una tetralogia al femminile, In questa parte, intitolata ‘vetustà’, cinque donne di un antico passato si raccontano e ci raccontano il loro vero pensiero in un dialogo con altre donne sconosciute. Le antiche donne sono: Penelope, Messalina, Rosvita di Gandersheim, Costanza D’Altavilla e Christine De Pizan. Dalle loro parole emerge un fil rouge che, aldilà del tempo, le accomuna nel palesare quello spirito di libertà e quel desiderio di giustizia che avevano perseguito in vita e che le aveva poste in duro conflitto con la società patriarcale dei tempi. E dunque un testo che sottende un’operazione drammaturgica dal valore storico e culturale di ampio respiro che da corpo e voce alla ‘metà del cielo’ e che, una volta in scena, coinvolgerà il pubblico grazie al suo impianto corale e al suo ritmo possente e incalzante.
Per i segnalati
Bolle di sapone di Angela di Maso
L’autrice mette in scena la condizione umana della disabilità. Due fratelli, Jim, senza piedi, e la sorella, Jem, con un leggero ritardo mentale, dialogano fra loro confessando con candore la necessità di ‘farsi compagnia’ più per desiderio d’amore che per impulsi sessuali irrefrenabili. Il fatto, una volta svelato dalla stessa Jem alle colleghe, rispondendo ingenuamente alle loro domande capziose e morbose, produrrà l’intervento dell’assistente sociale con la conseguenza della separazione delle loro vite. I due pensano di suicidarsi ma… Il testo gode di un dialogo ironico,paradossale, mai patetico.
Il Vangelo secondo Antonio di Dario De Luca
Una piacevole pièce che tratta, senza indulgere in pietismi, una malattia distruttiva e inguaribile come l’Alzhaimer. E’ don Antonio, un prete molto amato dalla comunità che ne è stato colpito. Il racconto procede fra momenti tristi e momenti di genuina comicità, così come procede la malattia del sacerdote.
Per gli spettacoli:
Hamletelia – testo e regia di Caroline Pagani
Allestito dall’autrice e interprete con efficace minimalismo scenico tutto concentrato su una perfetta one-woman-orchestra. In scena vediamo un’ Ofelia che si erge dalla tomba con un liberatorio “Amleto…che palle!” e man mano si rappresenta con un brio, un’ ironia, un gusto del paradosso e, in breve, una leggerezza pari solo alla profondità del sottotesto. Infatti il nostro poliedrico personaggio, nell’oscurità del luogo che la circonda, ci interroga e si interroga sull’articolato e folle mondo degli umani, ben rappresentato nei tanti e immortali personaggi shakespeariani, imbastendo un immaginario confronto/scontro, di volta in volta sensuale o allucinato o schizofrenico, con altre figure maschili e femminili, come Desdemona e Lady Macbeth. Un confronto che si sviluppa in un bel ritmo scenico partendo da un punto di vista ‘amletico’, per cui tutto può essere vero ma anche falso. Come spettatori, in questa originale e avvincente Ofelia/Hamletelia riconosciamo anche, fra le righe, il prototipo ancora attuale della donna vittima di una società che alleva mascolinità malate simili a quella del pallido Principe. Un prototipo femminile che cela in se stesso quel desiderio d’amore totalizzante e mortifero originato da scarsa autostima e da immotivati sensi di colpa.
Ma/ter, Donne fra mafia e terrorismo – Compagnia Teatrooggi – testo e regia di Graziella Pizzorno
Lo spettacolo coglie nel segno fin dalla prima scena in cui vediamo tre alte croci bianche campeggiare nel buio fra bagliori rossastri mentre una voce infantile chiede “ chi sono loro? cos’è il potere occulto?”. Con l’apparizione, ai lati del palcoscenico di due donne terroriste, lo spettacolo si sviluppa ritmicamente in quattro quadri che ci riportano a tragici eventi che videro le donne protagoniste o vittime di stragi terroristiche o di mafia. Chi armò queste donne ma, soprattutto, come si lasciarono convincere?, è. Questa a domanda-chiave che, nel secondo quadro, si pongono in carcere una terrorista di destra e una di sinistra. Grazie a soluzioni sceniche metatearali, la regista fonde eventi in apparenza diversi ma simili nella sostanza da cui emerge la sostanziale e universale ‘banalità del male’, per dirla con Hanna Arendt. Una banalità a cui si potrebbe porre rimedio con una maggiore consapevolezza di sé e autonomia di pensiero.E dunque un testo e una regia essenziali ed incisivi che attuano con efficacia la lezione del teatro-documento post-brechtiano.
Vanda Aleni