Roma, Teatro Sette, dal 13 febbraio al 4 marzo 2018
Non è facile decidere da dove cominciare un pezzo dopo aver visto Come Cristo comanda, il nuovo spettacolo di Michele La Ginestra, autore e interprete insieme al grande Massimo Wertmuller nel suo Teatro Sette. Non è facile scegliere lo spunto di riflessione perché in questo testo, scritto con il cuore e con la competenza di un Magni (non a caso lo stesso Michele lo cita nelle sue note sullo spettacolo), ricco di riflessioni e di profondità nascoste, ma nemmeno troppo, dal dialetto romanesco, ce ne sono talmente tanti da perdersi nel tentare di riassumerli. Due uomini in fuga nel deserto palestinese, anno 33 d.c., bivaccano nella notte parlando dei loro ricordi romani, di donne, di affetti, di animali, di usanze. Di tutto, pur di non affrontare il tormento che li corrode. Di tutto, pur di non parlare de “er fatto”. Quest’ultimo è la crocifissione di un uomo, e poco a poco i contorni si fanno chiari, come i dubbi di due soldati abituati ad obbedire ciecamente e ora turbati da qualcosa che non sanno spiegarsi bene, oppure si. “L’oppure” è la congiunzione che è penetrata nelle loro vite, la capacità di vedere oltre il visibile, oltre ciò che tutti gli altri negano. Forse questo è lo spunto giusto. Se Cassio (Wertmuller), centurione che ha avuto l’ardire di contestare fermamente le teorie dei Sommi Sacerdoti sulla scomparsa del corpo di quel crocifisso, e per questo condannato a morte, sempre più si pone in ascolto di “una musica melodiosa” che lo fa stare in pace con se stesso e con quelli che lo braccano, il suo amico Stefano (La Ginestra) ha paura di ciò che sente dentro di sé e cerca di convincere il suo amico dell’assurdità di quanto va dicendo, ma lo fa più per quieto sopravvivere che per convinzione. Lui che porse la spugna con acqua e aceto al morente in croce, e l’altro che trafisse il costato del Cristo per appurarne la morte, sembrano davvero piccoli protagonisti di un disegno superiore, a cui il primo si arrende e il secondo vi si oppone terrorizzato dal cambiare vita. Quante similitudini con le vite di tutti noi, abitudinari che temono ogni cambiamento di percorso interiore.
Ma Come Cristo comanda, nel suo testo affronta tante questioni, pone tante domande, via via più incalzanti, da restarne piacevolmente frastornati. Un Michele La Ginestra così non l’avevo mai visto ma non avevo dubbi che potesse interpretare un ruolo drammatico, un personaggio così tormentato che tramuta i sorrisi inziali per le sue battute spiritose, in attenzione verso qualcosa che affiora appena nel corso della storia per palesarsi nel finale con tutta la sua disperata potenza. La prova che se un attore è bravo lo è in qualsiasi tipo di situazione. Massimo Wertmuller, mostro di bravura, anche stavolta dona al suo Cassio uno spessore ed un calore come solo lui sa fare. Spettacolo toccante, scritto bene e interpretato da due attori eccellenti, che ha il coraggio di mettere in scena una riflessione profonda sull’importanza dell’ascolto e del silenzio interiore per tentare di comprendere oltre il nostro piccolo orizzonte, in un momento in cui tutti sbraitano e quando tutto sembra allontanare l’uomo dal bisogno di spiritualità. Bella la regia di Roberto Marafante, le luci di Gianmarco Cacciani, la scena di Teresa Caruso, i costumi di Giusy Nicoletti e le musiche suggestive di Andrea Perrozzi. Bella anche la presenza della giovane Ilaria Nestovito, bellissima voce e presenza discreta che accompagna i due poveri soldati, li cerca nel loro deserto personale, quasi li accarezza, con la leggerezza di un sogno, oppure di una dolce verità. Oppure, appunto.
Paolo Leone