“Ho vissuto tutte le morti”, disse una volta Hermann Hesse.
Sono morto come albero, e come petalo di rosa… Come insetto e come nuvola. Come battito d’ali di uccello, e come arcobaleno.
Voleva dire, forse, che ogni morte ci diminuisce. Anche se non ci riguarda da vicino.
Perché c’è stato un momento, da qualche parte della nostra vita, dove anche Davide Astori ha contato qualcosa.
Quando hai trovato la sua figurina, magari… O quando hai apprezzato una sua bella chiusura, un salvataggio nella linea di porta, un intervento pulito in scivolata. O quella volta che lo hai visto in foto, nel giornale, che si era vestito da Babbo Natale, e portava i regali ai bambini del Meyer.
Tutte le morti ci riguardano. Perché nessun uomo è un’isola..
Io mi ricordo di quando ero piccolo, e morirono Pasolini e Saarinen. Che erano due motociclisti con il casco e gli occhialoni, come usavano una volta… Era la stessa domenica del Milan che perse lo scudetto a Verona, e noi provavamo il primo senso di vuoto che può dare una morte.
E che anche un campione, alla fine, è un uomo come gli altri.
Lo stesso senso di vuoto di quando morì Pantani. E De Andrè, e Lucio Battisti. Il Presidente della Sampdoria Paolo Mantovani, Gianni Brera e Scirea… Indro Montanelli, Elvis e Pertini. Eduardo, e Enzo Bearzot.
Gino Bartali, naturalmente. E Freddie Mercury, anche.
Mi ricordo di Ronnie Peterson, che morì guidando la Lotus nera, quella che aveva la scritta in oro John Player Special. Ed era la macchina più bella che avessimo mai visto.
Ayrton Senna, che ci morì davanti agli occhi, in diretta tv. E Gilles Villeneuve, che ci spezzò il cuore… E la notizia arrivò alla stessa ora, più o meno, del Capitano della Viola.
Ho trovato sublime il gesto della Fiorentina, che ogni tanto si ricorda di rappresentare, per la sua gente, qualcosa di molto più profondo di una semplice squadra di football.
Non mi sembra mai fuori luogo, quando si ritira una maglia. E mi commuovono i cori dei tifosi, e le sciarpe e le candeline ai cancelli dello stadio.
In genere, detesto la retorica. In tutti i campi, tranne che nello sport.
Perché lo sport è il nostro luogo delle fragole, e spesso penso che la retorica contribuisca a renderlo ancora più magico.
E perché lo sport è l’unico posto dove non si muore mai, e nessuno ti dimentica.
Trovo bellissimo quando a Old Trafford cantano in onore di George Best, e mi commuovono i tifosi granata che il 4 maggio salgono a Superga a deporre un fiore per il Grande Torino.
Mi piace che ci sia un museo con la maglia originale di Obdulio Varela, che guidò l’Uruguay ai Mondiali del 1950. Che in America si ricordino di Jim Thorpe, il primo campione pellerossa, e anche che nel mio paese organizzino da più di trent’anni un torneo per Fulvio Benvenuti.
E che davanti ad Anfield Road ci sia la statua di Bill Shankly; che veniva dalle miniere della Scozia, aveva fatto la guerra e poi fu l’inventore del più grande Liverpool di tutti i tempi.
“Ha fatto felice tanta gente”, scrissero nel piedistallo.
Ti sia lieve la terra, Davide Astori.
Capitano dell’A.C.Fiorentina.
Di Firenze.
Riccardo Lorenzetti