Roma, Teatro Lo Spazio, 16 aprile 2018
Ci sei o non ci sei? Esisti o no? Questo chiede la ragazza alla “voce” di Don Carlo con cui per mesi ha dialogato senza mai vederlo in volto, nel bel finale de Il prete e la fanciulla, andato in scena nella prima romana al Teatro Lo Spazio la sera del 16 aprile. Una domanda che sintetizza il dubbio senza il quale la stessa fede sarebbe cieco fanatismo. Nata da un’idea di Don Luigi Trapelli, da tanti conosciuto come “il sacerdote degli artisti”, la pièce racconta la storia di una ragazza che, come tanti, è in una fase di confusione, di sbandamento, proveniente da una famiglia con gravi problemi. Insomma, uno spaccato attualissimo di società e di gioventù che ben conosciamo direttamente o indirettamente. La ragazza, dopo una serata di eccessi, si addormenta sulla panca di una chiesa in cui è entrata per caso. O no? Un’altra domanda che dà il via alla ricerca, nel dialogo e oltre esso, di senso per una vita borderline, sull’orlo del precipizio, guidata dalla “voce” (della coscienza, di un prete, di Dio?). La ricerca della bellezza, dei propri talenti, per dare significato e indirizzo certo alla propria esistenza. Appartiene a tutti la ricerca, anche ai non credenti. La ragazza della pièce, interpretata dal consueto, sincero, appassionato entusiasmo di Melania Fiore, troverà tra cadute e risalite, la propria strada, ponendosi tante domande lecite, riuscendo ad incanalare la sua rabbia per raggiungere il suo desiderio e un equilibrio tra le gioie e gli inevitabili dolori della vita, in una performance attoriale come suo solito ricca di sfumature e di umanità verace. Storia umanissima ed edificante, ma posta in un’ottica, a mio parere, comprensibilmente ma estremamente ecclesiale. La “voce” (bellissima, di A. E. Castellani), immagino sia il pensiero di chi ha dato lo spunto alla drammaturgia di Melania Fiore, è sulla linea di una sorta di algida (perché senza corpo) catechesi che a volte lascia perplessi. Forse sarebbe più producente, in un futuro prossimo, metterla in scena con un secondo attore, umanizzarla, sporcarla, farla scendere a terra sulla polvere del palco in un contraddittorio forte, anche drammatico, che troverebbe, associato alla bravura di Melania, un ben più emozionante risultato.
Una prima è sempre un primo passo, un cantiere aperto e questo spettacolo ha tutte le potenzialità, negli argomenti trattati, nell’autrice e nelle capacità interpretative della stessa, per diventare qualcosa di molto più incisivo. Molto bella la scenografia, i costumi e le luci.
Paolo Leone