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“Phantom Thread”, non un semplice film, ma una vera e propria esperienza

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Se decidessimo per una volta di guardare un film per quello che è veramente, quindi un’opera d’arte, osservandolo esattamente come faremmo di fronte ad un quadro di Raffaello, ad un fotografia di Erwitt, immaginando le cose belle della nostra vita con un “Notturno” di Chopin o leggendo a voce bassa una poesia di Baudelaire, ecco che ci accorgeremmo che “Phantom Thread” non è un semplice film ma un’esperienza. Non più una complessa moltitudine di cose, quale sovente è il cinema, ma un oggetto da maneggiare con cura, una rara bellezza con cui poter inebriare l’anima prima di dormire alla fine di una lunga e fredda giornata di fine febbraio.

Un capolavoro che vive di poesia, incantamento ed eleganza, la stessa che è al centro del film, al di sopra dei personaggi e della loro storia d’amore così educata e discreta, per nulla retorica. L’amore per l’arte è intrinseco e si palesa, allo stesso tempo, tramite il suo protagonista che vive per il suo lavoro prima di tutto. La bellezza buca lo schermo e si fa ingombrante a mano a mano che il film avanza, come una sonata per pianoforte, la stessa che lo accompagna a livello sonoro. Un film che vive di interni maestosi, quelli dell’atelier Woodcock, ma che non perde nulla del suo appeal quando si mostra in esterna, evocando il fascino malinconico della campagna inglese. La regia di Paul Thomas Anderson non pecca mai di virtuosismi e si diverte ad indugiare nei dettagli del mestiere lasciando che anche lo spettatore si senta parte di quel meraviglioso mondo che è la moda. L’arte nell’arte, un gioco di sguardi potremmo di dire, gli stessi che Daniel Day- Lewis regala alla sua amata Alma dall’inizio alla fine del film. Uno dei pochi film degli ultimi dieci anni in grado di fondere tutte le componenti artistiche in un film ad un livello altissimo senza scegliere, elogiandole tutte ed amalgamandole con un lavoro pregevole degno di un grande artigiano.

Federico Santiccioli

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