Trieste, Teatro Miela, 24 aprile 2018
La passione è ciò che nutre ogni grande impresa ed è a partire da essa che si snoda “Figlia di tre madri”, l’impegnata narrazione portata in scena da Elena Ruzza con Bianca De Paolis al contrabbasso per la regia di Gabriella Bordin.
Le esistenze di Teresa Noce (1900-1980), Rita Montagnana (1895-1979) e Angiola Minella (1920-1988) sono punto di partenza per collegare il nostro presente alle radici della libertà che oggi a volte diamo per scontata, ma che è stata conquistata grazie all’opera di persone come loro. Furono tutte torinesi, partigiane nel corso della Seconda Guerra Mondiale e poi Deputate nelle file del Partito Comunista Italiano dell’Assemblea Costituente che avrebbe dato vita alla nostra Costituzione.
Il racconto si snoda a partire da cent’anni fa, con gli scioperi indetti nel 1917 a Torino contro la Grande Guerra. I fatti della Storia sono visti attraverso la prospettiva femminile, di coloro che in assenza degli uomini mandati al fronte si trovarono a dover svolgere mansioni lavorative che fino a quel momento erano state loro precluse. Il 1917 è anche l’anno in cui appare una recensione di Antonio Gramsci scritta sull’Avanti! in occasione di una messa in scena di Casa di bambola di Enrik Ibsen, nella quale il grande e rivoluzionario pensatore colse appieno il dramma profondamente umano della protagonista rispetto al quale il pubblico era rimasto indifferente.
È in tale contesto e in quegli anni che inizia l’impegno di Teresa e di Rita, entrambe aderenti fin da subito al Partito Comunista, che le vedrà sempre in prima linea e totalmente immerse nella realtà politica anche nel privato (Teresa sposerà Luigi Longo, mentre Rita sarà la moglie di Palmiro Togliatti). Angiola, di vent’anni più giovane, aderirà alla Resistenza nel 1944 (il padre era stato ucciso dai fascisti negli anni ’30).
La loro partecipazione attiva proseguirà negli anni concentrandosi sulla condizione femminile, in famiglia e nei luoghi di lavoro, con particolare attenzione alla tutela dell’infanzia e della maternità che anche grazie a loro diventerà un diritto e non la limitante risposta a un bisogno.
Teresa e Rita furono tradite dai loro uomini e, poi, pure dal Partito. Negli anni Sessanta si ritireranno poco alla volta dalla politica.
Lo spettacolo non si limita però a ricordarle, fatto questo di per sé già meritorio; posto quasi ai margini, il centro della questione è l’invito a interrogarsi sulla possibilità concreta di rivivere ancora stagioni politiche così appassionate in un mondo come quello attuale in cui le menti sembrano essere totalmente anestetizzate rispetto a quel che sta avvenendo in casa e nel mondo.
Chi è nato negli anni Sessanta del Novecento serba ancora la traccia del ricordo di quegli anni, quando ancora era comune impegnarsi per un’Idea ma per le nuove generazioni, quelle a partire dagli anni Ottanta in cui le ideologie politiche sono state sostituite da quelle dei mercati, tutto questo è molto più difficile.
Elena Ruzza cita Hanna Arendt e il suo monito a pensare, a cercare sempre di distinguere il bene dal male, a non assuefarsi all’indifferenza; ricorda l’odio di Antonio Gramsci per gli indifferenti. Si interroga sulla possibilità di alternative a quel che sta avvenendo, magari riprendendo il filo spezzato della memoria di donne appassionate in politica come loro e se anche in modo diverso si possa essere, oggi, rivoluzionarie.
Sono domande lasciate aperte alla riflessione del pubblico e dà speranza il fatto che lo spettacolo in sala sia astato preceduto, nel corso della mattinata, da una messa in scena presso il Liceo Artistico Statale E. e U. Nordio di Trieste.
Paola Pini