Al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Opera di Firenze. Fino al 6 dicembre 2018. Replica di venerdì 30 novembre
Dopo che con amarezza non ero riuscito a vederla l’anno scorso, finalmente ho potuto assistere alla “Carmen che non muore” di Leo Muscato, oramai entrata nel DNA del pubblico, se i fischi che si erano verificati hanno lasciato il posto ai soli applausi – alcuni addirittura scappati proprio in occasione della morte di Don José, causata dal colpo di pistola sparato dalla protagonista. Ma andiamo per ordine.
La vicenda viene ambientata durante il Ventennio fascista, presso un campo nomadi presidiato dai soldati. La scena – di Andrea Belli – è composta da cinque roulotte che fungono da sfondo e anche da oggetti praticabili; i personaggi (costumi di Margherita Baldoni) sono vestiti alla foggia del tempo, in nero i militari, con costumi leggeri e variopinti gli abitanti del campo. L’ambientazione si adatta bene al libretto, senza snaturare il dramma, inoltre il brillante congegno registico e la cura scenografica danno luogo a un prodotto visivamente armonico, sia a livello di giochi geometrici che cromatici. In questo senso sono emblematiche le parti corali, tutte accurate, con il finale ubicato alla corrida che ci lascia mozzafiato, con il colore rosso pigmento portante della scena di massa, con bandiere svolazzanti, con equilibrio tonale tra le parti vocali: elementi che rendono il tutto ben riuscito.
Prima di arrivare all’atteso finale, troviamo un altro escamotage registico che esce al di fuori degli schemi dettati da libretto, questo quando, dopo il primo duetto con Micaela, Don José si ritrova tra le mani la lettera della madre, che in questo caso non legge lui stesso, affidandosi a una voce registrata, quella appunto della genitrice – stratagemma a dire il vero non so poi quanto riuscito, esulando la registrazione dal resto della gamma acustica della messa in scena.
Giungiamo quindi al finale, dove Leo Muscato compie uno degli esperimenti più coraggiosi della storia dell’opera lirica, cambiando il finale, che da libretto vorrebbe la morte di Carmen causata da Don José e non viceversa. In questo caso è Carmen che uccide l’uomo, tramite la stessa pistola che lui le aveva donato in passato. Ora, bisogna fare delle riflessioni, innanzitutto che ai fini drammatici del dramma la morte dell’uno o dell’altra non cambia l’andamento della vicenda, quindi in termini tecnici la cosa si può fare, questo anche preso atto dei temperamenti non proprio retti dei due personaggi: ossessivo lui, che rinuncia alla stessa carriera militare per lei; profittatrice lei, che utilizza l’uomo un po’ come vuole (popolarmente potremmo veramente dire “accidenti al meglio!”). Questo significa che, in termini prettamente artistici (non parliamo di eventi realmente accaduti, quindi possiamo anche un po’ sbizzarrirci con le fantasie), entrambi in senso operistico potrebbero rimanere assassinati, perché ambedue vittime di caratteri in cui viene fuori forse più la parte negativa che positiva. Detto questo e ricordando che ai fini del dramma la morte dell’uno o dell’altra non cambia assolutamente niente alla vicenda, credo che la variazione voluta da Muscato sia attendibile e se per una volta si è voluta dare a Carmen la sua vendetta, ecco, questo mi pare anche legittimo e credo che persino lo stesso Georges Bizet e i librettisti Henri Meilhac e Ludovic Halévy non sarebbero stati poi in così disaccordo. Ora si apre però un altro punto, che riguarda la coerenza drammaturgica. Nonostante l’azione innovativa, da testo è rimasta l’ultima battuta di Don José: “Vous pouvez m’arrêter… c’est moi qui l’ai tuée!” (Mi potete arrestare… sono io che l’ho uccisa!). Allo spettatore la prima cosa che viene in mente è: “Cosa c’entra questo con la scena alla quale abbiamo assistito?”. Allora forse il coraggio di Leo Muscato non doveva esaurirsi al dramma – in senso letterale di “azione” -, ma il regista avrebbe dovuto fare quel passo ulteriore, attraverso l’epurazione di una battuta che a questo punto diviene paradossale e insensata. Se l’opera si fosse conclusa lì, con la morte di Don José, senza l’arrivo degli ispettori, togliendo la detta frase, ecco, forse il complesso sarebbe funzionato ancor meglio.
Per quanto concerne i cantanti, grande prova quella della Carmen, la mezzosoprano Marina Comparato, la quale a volte sforza un po’ i toni più bassi, ma che per il resto è ineccepibile, sia a livello vocale che istrionico, dimostrando una personalità e un carisma da vendere, muovendosi in modo straordinario per la scena. Ecco una Carmen credibile e non sempre se ne vedono. Buona a mio avviso anche l’interpretazione di Roberto Di Biasio nei panni di Don José, a dire il vero dai pochi applausi non è sembrata gradita al pubblico. A me è parsa ben confezionata, senza troppi alti, ma anche senza bassi, insomma, il tenore si è comportato piuttosto bene nelle parti da solista, dando il meglio nei duetti con la Micaela Laura Giordano, quest’ultima che, seppur con una parte marginale, è emersa al pari, anche più degli altri. La sua voce da soprano ci ha letteralmente toccato e commosso e in quell’aria Je dis que rien ne m’épouvante dà forse il massimo, prendendosi i calorosi e meritati applausi del pubblico. Buona anche la prova del toreador Escamillo Leon Kim. Il baritono si riprende dopo una prima entrata un po’ sotto tono, mancando di quel carisma, di quel vigore, di quella forza timbrica, di quella determinazione, anche di quella ironia, tratti indispensabili a un Escamillo credibile. In ogni modo poi si scalda, migliora e nel resto dell’opéra-comique fa il suo, immedesimandosi nel personaggio.Ottimo il coro, sia quello delle voci maschili che quello delle voci femminili, veramente eccezionale quello delle voci bianche, artefice di un’esecuzione sopra le righe – plauso quindi al Maestro Lorenzo Frattini.
Di pregio la prova dell’Orchestra del Maggio Fiorentino, guidata dall’ispirato direttore Matteo Beltrami, che sceglie una fluidità musicale rapida, incalzante e dai tempi serrati, lasciando sempre il giusto spazio ai diversi strumenti di esprimersi, entrando bene in sintonia coi tempi dei cantanti.
In definitiva, sono felice di avere assistito a questo allestimento, del quale premio il coraggio… manca solo quel pizzico di temerarietà in più per rendere il tutto ancora più coerente.
Stefano Duranti Poccetti