Al Teatro Salieri di Legnago, il 7 marzo 2019
Lo scorso sette marzo il Teatro Salieri di Legnago (VR) ha ospitato il Don Chisciotte con gli attori Alessio Boni e l’attrice turca Serra Yilmaz, per la regia dello stesso Boni, di Roberto Aldorasi e Marcello Prayer. Ennesimo sold-out per la stagione di prosa del teatro che ha potuto assistere allo spettacolo della Fondazione Teatro Toscana, un lavoro ben costruito, un adattamento dell’opera prima del Cervantes – che vanta più di 400 anni – in cui tutto è orchestrato alla perfezione, un meccanismo a orologeria in cui anche le sequenze più studiate appaiono naturali e disinvolte. Gli attori si sono messi in gioco, interpretando ognuno di loro ruoli diversi a seconda delle scene. Il continuo cambio di scenografia e di costumi avveniva in tempi anche brevissimi e cadenzati: qualsiasi spettatore avrebbe detto che il gruppo era decisamente di un numero maggiore rispetto a quello effettivo, visti i momenti di coralità che si ripetevano spesso durante le due ore di visione. Molti gli effetti speciali, a cominciare dalle voci e dai suoni fuori campo per continuare con i sorprendenti effetti di luce dell’incontro con l’agognata Dulcinea, corpi e forme, immagini fluorescenti (o evanescenti) semoventi su fondo scuro, elementi di un viaggio in cui ciò che è reale non lo è mai, in cui l’eroe è tale proprio perché è folle. Il protagonista (Alessio Boni), spalleggiato dal fido scudiero Sancho Panza (Serra Yilmaz) rende magico, eroico, straordinario il comune, l’ordinario, il banalmente noioso in sella al suo fido Ronzinante, cavallo bianco di cartapesta mosso dal suo interno da un attore. A guidarlo in ogni impresa è il goffo, materialista, “più che mai terreno” Sancho, che scappa da un presente di indigenza e da una moglie austera, autoritaria e che non fa altro che urlare parole incomprensibili in calabrese. Il solo fine ultimo di Sancho è il danaro e la pancia, sebbene alla fine i valori alti ed etici del suo leader lo indurranno alla redenzione. Vida és sueno, Don Chisciotte compie solo atti illogici, sfodera la spada per fare razzia di una mandria di pecore guidato dagli insegnamenti dei grandi cavalieri delle saghe arturiane, squarcia mulini a vento, salva una statua della Madonna dagli ignari fedeli che la portano in spalle in processione. Fino agli ultimi istanti il protagonista si fa beffe della Morte: si rifugia in un mondo fittizio che, sebbene distante dalla realtà, se non opposto ad essa, quantomeno risulta più avvincente e movimentato dell’arido e sterile vero.
Chiara Cataldo