Francesco Branchetti, attore e regista, storico amico del Corriere dello Spettacolo, continua la sua collaborazione artistica con Barbara De Rossi e sta per tornare in scena, al Teatro Ciak il 15 maggio, con un testo di Gianni Guardigli di cui seguimmo la prima nazionale tre anni fa in un torrido agosto: Coro di Donna e Uomo.
Francesco, innanzi tutto bentornato sul Corriere. Perché la necessità di riproporre Coro di donna e uomo?
Bentrovati Paolo! Portiamo lo spettacolo in tournée da tre anni e secondo me è importante riproporlo perché è sempre più tristemente attuale soprattutto nel mostrare come nei secoli il rapporto tra uomo e donna sia stato tormentato e spesso caratterizzato da violenza, coercizioni e sopraffazione, anche se qua e là mostriamo anche talvolta la dolcezza e la solidarietà nel bene che ci può essere tra uomo e donna.
Mi dicevi che lo spettacolo è molto cambiato rispetto a quella prima messa in scena.
Adesso è sicuramente ancora più teso a farci vivere come contemporanee le dinamiche e problematiche talvolta terribili del rapporto tra uomo e donna che sotto varie forme hanno attraversato i secoli.
Definii coro di donna e uomo come un testo che lasciava poche speranze, ha mantenuto quella linea?
Si, tuttavia forse adesso nello spettacolo c’è anche un filo di speranza ma è tutta riposta e demandata alla nostra volontà e alle azioni che una nuova consapevolezza deve farci compiere, soprattutto nel non farci sopraffare dalla rassegnazione e dalla sensazione di impotenza che talvolta possiamo provare davanti al male.
So che sarà affrontata anche la triste tematica della violenza “travestita da amore”, argomento purtroppo attualissimo e che la De Rossi conosce profondamente avendo condotto un programma televisivo dedicato. Immagino che sia una parte dello spettacolo che l’avrà coinvolta molto.
Si, portiamo in scena due episodi di violenza maschile nei confronti della donna. Sono episodi nati interamente dalla fantasia dell’autore Gianni Guardigli ma che hanno la capacità di evocare molta tragica attualità ed è sicuramente una parte dello spettacolo che l’ha coinvolta molto .
In particolare, il “coro” maschile cosa dice in questo testo? Come ne esce l’essere umano maschio?
L’essere umano maschio, certo, non ne esce benissimo dalla maggior parte degli episodi ma lo troviamo alle volte anche molto confuso, fragile e insicuro e altre volte però anche capace di gesti di grande solidarietà, compassione e umanità.
Francesco, la stagione teatrale volge al termine, qual è il tuo personale bilancio?
Io cerco sempre di non fare bilanci ma se proprio devo posso dire che sono felice di aver portato avanti con buoni risultati le collaborazioni che avevo già in essere e di aver incontrato nuovi amici e compagni di viaggio come Mario Antinolfi con cui abbiamo fatto “Una settimana, non di più ” di cui Mario è interprete e produttore e con cui mi auguro di poter fare altri spettacoli.
Paolo Leone