Trieste, dal 9 al 15 giugno 2019, Teatro Stabile Sloveno, Tact – International Sharing Theatre Festival
L’Ungheria e la Serbia, la Russia di Mosca e quella dell’Ossezia, l’Iran e la Francia, la Slovenia e numerose regioni d’Italia si sono incontrate a Trieste: per una settimana giovani provenienti da ogni dove hanno fatto teatro e ne hanno discusso assieme, nei numerosi momenti formali (ben sette i workshop formativi aperti al pubblico, proposti e organizzati di mattina in luoghi distinti, oltre alle discussioni – i Tact & Catch Up – organizzate nel primo pomeriggio con le compagnie andate in scena il giorno prima) e nelle pause tra un’attività e l’altra.
Tutto questo è stato possibile nel corso della sesta edizione del Tact, il Festival che fin dall’inizio trova spazio nell’ospitale Teatro Stabile Sloveno, letteralmente venuto in soccorso degli organizzatori trovatisi quest’anno, a ridosso dell’inaugurazione, nell’impossibilità di accedere agli spazi del Porto Vecchio individuati con congruo anticipo ma divenuti all’improvviso incapaci di accogliere, per sopravvenute difficoltà logistiche, le tante iniziative progettate.
Anche la mostra di fotografia e grafica, allestita per l’occasione dall’Associazione Culturale DayDreaming Project a cura di Nanni Spano è stata mantenuta, seppure in spazi più ristretti, nel foyer e nello spazio adiacente all’ingresso alla sala principale. Dedicata al duecentesimo anniversario dalla nascita di Herman Melville e dal suggestivo titolo “La Balena, Pinocchio e altre storie di mare” è stata resa possibile grazie alla collaborazione di ben sei tra curatori, galleristi e docenti attorno ai quali si sono raccolti più di sessanta artisti per interpretare con tecniche, stili e strumenti diversi un tema molto evocativo, capace di far risuonare archetipi vivi e presenti nel profondo di ognuno di noi.
Tra lo spettacolo pomeridiano e quello serale è stata riproposta l’ormai tradizionale scelta tra il Tact & Wine, la degustazione guidata di ottimi vini selezionati dal sommelier Daniele Milan e la musica dal vivo proposta all’ingresso del teatro da musicisti, cabarettisti e gruppi ogni sera diversi: Camilla Sparksss, Karla Hajman con il suo Stereochemistry, gli Eastern Border 4eT, Carmelo Pipitone e i Pantaloons, prima di giungere al Big Bang Closing Party, la serata finale sul lungomare di Barcola, presso lo stabilimento balneare del DopoLavoro Ferroviario.
Passando al teatro in senso stretto, tutti gli spettacoli sono stati messi in scena, ovviamente, nella lingua delle compagnie di provenienza con sopratitoli in inglese e italiano.
Così, in una vera e propria “scorpacciata” di ascolti e di visioni sono state davvero tante le emozioni e gli spunti per riflettere in seguito, a partire dall’incredibile varietà linguistica proposta unita alle scelte stilistiche interpretative e, in alcuni casi, al rapporto più o meno conflittuale tra la nazionalità degli attori e quella degli autori dei testi da cui sono state tratte le drammaturgie.
Simile a quello compiuto dal Capitano Achab a caccia della “sua” Moby Dick o di Pinocchio alla ricerca di una vita “vera” tanto desiderata, quello dello spettatore è stato un viaggio nella natura umana osservata da innumerevoli punti di vista e prospettive, con frequenti irruzioni in sala della contemporaneità.
Alcuni hanno preso spunto dai classici, come la compagnia Attitude di Budapest con “Csaijka”, ispirato a “Il Gabbiano” del russo Anton Čechov (per la regia di Borbála Blaskó), ma distorcendone l’immagine comunemente nota, o lo Studiya.Project di Mosca (diretto da Rodion Baryshev) con “Karamazov”, da Fëdor Dostoevskij, messo in scena senza parole e giocato tutto su una fisicità estrema dotata di un ritmo più che sostenuto, capace di trasmettere soltanto con il movimento la forza e la violenza espressiva del testo.
Altri hanno dato voce a un’urgenza narrativa: “Gospel for the present time” del gruppo francese Champ Libre (diretto da Charles Meillat), intensa performance, fisica immedesimazione nel grembo di Madre Terra realizzata nel boschetto dell’Ostello Scout sul Carso triestino – cui è seguita l’esibizione con il fuoco del “Drago Bianco” (Anton Lumi) – ma anche “Brothers” di Sergej Davydov, portato in scena dagli Osseti del The North Caucasus Branch of the National Centre for Contemporary Arts (regia di Nikita Betekhtin), dura riflessione sullo scontro tra generazioni sul tema dell’apertura ad altre culture contrapposta al rigido rispetto delle tradizioni nazionali, alla spasmodica ricerca della definizione di un futuro accettabile; o ancora il durissimo “History of violence”, evento speciale dello sloveno Mini teater (regia di Ivica Buljan) da un testo del francese Edouard Louis in cui una violenza subita si ripete nel racconto e nelle immagini trasmesse alla presenza dell’aggressore, anch’esso in qualche modo vittima del potere, definito come una “macchina che crea bugie e obbliga gli altri a mentire” agli altri, ma soprattutto a se stessi.
La guerra, non ancora superata negli animi di chi l’ha vissuta, appare in “Who the fuck sterted all this?” di Dejan Dukowski con la compagnia serba Academy of arts (regia di Milja Mazarak), che ha messo in scena, attraverso numerosi episodi, l’infinito e irrisolvibile scontro tra angeli candidi e angeli oscuri ma anche, in un’eco che si mantiene sullo sfondo, nell’inquietante e poetico “IRock” di Sahand Kheirabadi con gli iraniani del Mashhad Musical Theater (regia di Mohammad Niazi) in cui la ricerca dell’amata incontrata una volta soltanto e idealizzata per tutta la vita, nell’incessante tentativo di completamento nell’altro da sé porta a un’interpretazione mortifera dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci.
Molto vari gli spettacoli proposti dalle compagnie italiane: “Maddalé” di Paolo Congi con la compagnia Versus di Roma (regia di Benedetta Cassio) è un delicato inno alla fragilità umana, dramma intimo, sofferenza che si fa violenta nell’incapacità di uscire da dinamiche perverse indotte dall’esterno; “Il drago d’oro”, ambiziosa messinscena dal testo di Roland Schimmelpfenning proposta da Evoé!Teatro di Rovereto (regia di Toni Cafiero) con al centro i desideri, espressi o inespressi, dei tanti personaggi; l’intensa “Immigrant song 2.0” con Lucia Zaghet de L’Arlecchino errante di Pordenone, che si tuffa nella commedia dell’arte con un Pulcinella cantastorie, poetico narratore di una favola di José Saramago e, infine, il brillante “Cold Water” dei padroni di casa, il Teatro degli Sterpi (regia di Valentina Milan) dal testo di Francesco Guerrera con la drammaturgia di Gioia Battista, efficace e originale studio su un testo che andrà in scena nella prossima stagione dell’Hangar Teatri, ambientato nel mondo di Wall Street.
In questo pirotecnico turbinio si è percepito un livello generale di tutto rispetto, presente nelle idee o nelle interpretazioni delle diverse compagnie, alcune delle quali molto giovani, sia per costituzione che per età media degli artisti, ma quel che rende davvero speciale il Tact è una inesauribile volontà di restar fedeli alla natura originaria del Festival: luogo di incontro, di scambio, di confronto nel rispetto di tutti, lontano da logiche di autoaffermazione a scapito degli altri.
È qualcosa di magico e di prezioso, da conservare con cura e proteggere con amore.
Paola Pini