Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali, dal 6 al 10 novembre 2019
Ritrovarsi vecchi. Accettare di essere soli.
Andrea Giordana è l’anziano vedovo protagonista de “Le ultime lune”di Furio Bordon, in scena a Trieste al Politeama Rossetti; quando si alza il sipario sta preparando le valigie per trasferirsi definitivamente in una casa di riposo.
La decisione, presa in modo autonomo, non ha incontrato un’opposizione da parte del figlio (Luchino Giordana), ferma al punto da fargli cambiar idea e manca poco al momento.
Si dice che l’alternativa, il non arrivare alla vecchiaia, sia peggiore.
La moglie (Galatea Ranzi), scomparsa improvvisamente anni prima, ne è l’esempio e gli appare in forma di spettro benevolo e comprensivo, naturalmente accolto dall’uomo che con lei tesse un dialogo affettuoso, dolce antidoto a una solitudine che gli si stringe attorno, inesorabile, assieme a un progressivo disgregarsi di ogni interesse.
La regia di Daniele Salvo si fa da parte per lasciar spazio a un testo (nodo centrale di una trilogia che la lega a “La notte dell’angelo” e a “Un momento difficile”) che riesce a essere crudo e lieve al tempo stesso, arrivando con delicatezza alla sostanza più intima di una condizione umana, “la resa dell’età”, troppo spesso lasciata in un angolo, vago tabù di un’epoca confusa. Costante risulta essere la presenza della musica, soprattutto Bach, fondamentale momento di apertura in risposta alla progressiva ritrazione dell’uomo dalla vita, al restingimento dei suoi spazi mentali, affettivi e, infine, fisici.
Il susseguirsi di generazioni incapaci di comprendersi veramente emerge senza ambiguità nel confronto-scontro ad armi impari in cui la forza di una fragilità consapevolmente agita dal padre ha la meglio, per un breve attimo, sull’arroganza di un figlio costantemente sulla difensiva, cosciente a sua volta di non essere in grado di vincere su un terreno non suo.
Quel che si sa dell’altro, soprattutto in situazioni come queste, è un’infinitesima parte della sua realtà, perché è impossibile riuscire a comprendersi davvero; l’unica cosa davvero importante, il volersi bene, è un non detto dato per scontato.
Nella sua interpretazione Andrea Giordana dà maggior spazio al lato più poetico, ma anche maggiormente opaco del personaggio, mettendo in luce il desiderio di riflettere su se stessi e lasciando nell’ombra la curiosità verso quel che avviene negli altri e, sullo sfondo, l’elemento ironico che ogni tanto appare.
Il conflitto ingaggiato in scena con Luchino Giordana, figlio anche nella vita, dona allo spettacolo ulteriori sfumature e Galatea Ranzi dà al proprio personaggio la sostanza necessaria a far risaltare al meglio, con la vitalità di una donna rimasta giovane nella memoria del marito, il progressivo “entrare nel niente” di chi sta per raggiungerla.
Le scene di Fabiana Di Marco e le luci di Giuseppe Filipponio creano funzionali giochi d’ombre e di specchi.
Cosa resta, alla fine?
Un album di fotografie, capaci di far rivivere le emozioni vissute nel momento in cui furono scattate, ma impossibili da condividere con chi non le ha vissute.
Paola Pini