Trieste, Castello di San Giusto – Bastione Rotondo, 1° luglio 2020,
Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Teatro Stabile Sloveno – Slovensko Stalno Gledališče
La Contrada – Teatro Stabile di Trieste
Teatro Instabile Miela
Ripartiamo dall’inizio!
La ripartenza dei quattro principali teatri di prosa triestini avviene in modo davvero potente dal punto di vista simbolico: un unico spettacolo messo in scena tutti assieme, primo evento del cartellone Trieste Estate proposto tradizionalmente dal Comune, con la direzione artistica di Gabriele Centis per l’ambito musicale e di Lino Marrazzo per quello teatrale.
I cinquanta spettatori si dispongono, rispettando le dovute distanze, ai posti preparati sull’ampio spiazzo del Bastione Rotondo al Castello di San Giusto; prima dell’inizio si affacciano alle mura. Da qui si domina la città e ogni volta, anche se ci si è già stati tante volte, si resta incantati alla vista di un paesaggio in cui l’architettura, soprattutto neoclassica, si sposa con le colline fitte di boschi e boschetti, per aprirsi sull’ampio golfo.
Per qualche attimo si ha la possibilità di rappacificarsi con ogni cosa.
Otto gli attori sul palco, accompagnati dal pianista Riccardo Morpurgo, costante filo conduttore di una brillante serie di letture sul tema della crisi dei teatri di sempre e dell’attuale distanziamento obbligatorio, declinati in chiave surreale e caustica, in alcuni casi proposta in chiave bilingue (italiano e sloveno), intervallati da brani cantati in tedesco e francese: tanti i testi, tratti dalle opere di Karl Valentin, Achille Campanile, Angelo Cecchelin, Srečko Kosovel, Italo Svevo, Thomas Bernhard, Kurt Weill, Lot Vekemans e Oscar Wilde.
E’ un intreccio poetico e arguto tra scampoli di letteratura europea, legati con perizia da Ariella Reggio e Marzia Postogna (La Contrada), Emanuele Fortunati ed Ester Galazzi (Il Rossetti), Nikla Petruška Panizon e Franko Korošec (Sloveno), Laura Bussani e Alessandro Mizzi (Miela) in un rincorrersi di battute vivaci e lucide, tipiche del Witz analizzato anche da Sigmund Freud: una situazione reale anche amara viene portata alle estreme conseguenze per giungere a un risultato ridicolo, sorprendente e del tutto inaspettato.
Seguendo questa trama rapsodica non ci si trova qui di fronte alla malinconia nostalgica del “com’era bella la Mitteleuropa”, diventata comodo stereotipo a queste latitudini, buono per tutte le stagioni. Si coglie piuttosto la vitalità pungente di chi ha la fortuna di vivere in un luogo in cui sono tante le lingue parlate e proprio per questo si ha il privilegio (che a volte assume i toni di una inevitabile condanna) di osservare, nello stesso tempo, la vita propria e altrui da molteplici punti di vista.
È un luogo abituato a discutere anche in modo molto acceso su ogni cosa: si difendono i propri principi, a volte ci si offende. Ma poi ecco apparire chiaro il lato umoristico e grottesco che ogni situazione, sempre, nasconde in sé. Da qui è facile raggiungere la cognizione dell’effimero insita nella contesa del momento.
Inevitabile è a quel punto il realizzarsi di una pacificazione non risolta, punto di partenza per il mantenimento di un equilibrio instabile tra opposti che da lontano si osservano e, con qualche perplessità, convivono.
In altri casi ci si limita ad andare avanti ognuno per la propria strada, convinti che al vicino non interessi collaborare, mentre basterebbe proporre qualcosa per essere smentiti con piacere.
La messinscena collettiva di questo primo spettacolo originale, nuovo inizio dopo l’emergenza sanitaria, ne è l’esempio perfetto: quando professionisti che si conoscono, provenienti da realtà vicine ma fra loro autonome decidono di dar vita a qualcosa di comune, ne escono tutti più ricchi.
Vale per gli attori, per la cantante (Marzia Postogna), per il pianista, ma anche per i testi proposti e per il pubblico, gratificato dal piacere di assistere in un’unica serata all’interpretazione dei propri beniamini senza il disagio di doversi spostare di teatro in teatro.
Paola Pini