Il 3 ottobre 2020 al Teatro al Parco di Parma
Due attori sono su un palco, uno è calvo e l’altro è un capellone. E poi un fondale scuro, due leggii, due sedie e un tavolino di un bar: una scenografia scarna all’insegna dell’essenzialità. Lo scorso 3 ottobre è andato in scena nel cuore del Parco Ducale di Parma “Ma tu sei felice?”, l’ultima data della tournée estiva, che di estivo però non ha più nulla. Questa pièce con Claudio Bisio e Gigio Alberti, fortemente voluta dal Teatro Regio, ha intrattenuto una platea intirizzita per un’ora e mezza, coinvolgendo gli spettatori in un equilibrio precario tra persona e personaggio, in cui era il proscenio ad ospitare la persona e la ribalta ad abbracciare i vari “pupi” che di volta in volta ci hanno tenuto compagnia tra battute esilaranti e motti di spirito: continue le parole di scherno rivolte anche a noi pubblico.
Bisio e Alberti appena arrivati ci hanno raccontato come è nata l’idea della messinscena, frutto della noia e della routine dei domiciliari durante le lunghe giornate di coprifuoco dei mesi scorsi. I dialoghi dei due hanno ruotato attorno al concetto di felicità, intesa come leggerezza, come svago. I temi? Il tradimento, la vita coniugale, il rapporto tra uomo e donna, quello tra genitori e figli e chi più ne ha più ne metta, il tutto incastonato in una trama appena accennata dalla cornice dei due attori, che continuano a rivivere l’azione all’infinito. Il cambio sequenza è intervallato da luci intermittenti a ritmo di musica pop. Nonostante il fresco della serata autunnale, gli astanti sono stati attenti e in costante attesa dello scherzo, del doppio senso dietro l’angolo. Momento clou della serata quello della rivelazione finale, lo squarcio della quarta parete: l’autore del libro da cui è tratto lo show, Federico Baccomo, era in platea.
“Ma tu sei felice?” è divertente, ironico,cinico e leggero – ad assistere allo show non si può fare a meno di pensare allo stile sardonico di Zelig, o alle parole caustiche e taglienti degli stand up comedians statunitensi. Depista un po’ il titolo dell’opera: una domanda del genere sembra suggerire tematiche esistenzialiste ben più profonde di quattro chiacchiere da bar senza pretese.
Chiara Cataldo