Conosco Claudia Piccinno attraverso i suoi versi raccolti nel libro che mi ha spedito dal titolo serafico e misterioso “Sfinge di pietra”, mentre la copertina è un invito ad interrogarsi come evoluzione dell’esistente e di ciò che non avendo un nome, un luogo è fonte di dubbio con il volto di Ipazia di Alessandria filosofa, matematica con studi di algebra e trigornometria, ideatrice dell’astrolabio che compare nel dipinto, poi realizzato dal suo allievo Sinesio,ritratta dall’artista Immacolata Zabatti.
Il libro di Claudia Piccinno, quindi comincia dalla copertina che è davvero un eloquente richiamo all’intelligenza della donna per secoli occultata ,l’esempio di Ipazia di Alessandria poi coglie in pieno il senso del libro stesso. Le donne hanno il dono di generare la vita, ma non solo, le donne sono partecipi della civiltà dell’umanità intera e del suo progredire a cui la sensibilità femminile aggiunge l’intuizione come categoria che intuisce prima di dedurre.
La prefazione di Dante Maffia mi trova concorde nel definire che le donne oggi ma anche ieri sebbene con più difficoltà entrano per merito e creatività nel cenacolo della poesia e dell’arte tutta entrambi sostantivi al femminile, dunque la poesia e’ donna e la donna è stata ancella , musa e oggi artista (ma lo era anche ieri pensimo a Eleonora Duse e alla scienziata Ada Lovelace figlia illegittima di Lord Byron che inventò la macchina da calcolo che oggi chiamiamo Personal Computer).
La versatilità della sua poesia rispecchia il respiro del sapere come ricerca linquistica attraverso altri idiomi , infatti l’autrice e’ affermata traduttrice e le poesie di questa raccolta sono affiancate dalla traduzione in inglese, quasi a voler concepire un dispiegamento di immagini designate da parole sia in italiano che in inglese che se pur diverse tendono attraverso la peculiarità dell’immagine a diventare UNISONO.
Se la poesia è proiezione e condensazione dell’esistente come momento in cui il mondo si compie davanti agli occhi della poetessa quasi ad essere caleidescopio di altri mondi che lei vede attraverso l’immaginazione porgendoli a noi lettori ignari di tale meravigia, l’arte diventa il divenire in progressione del nostro sentire come una pulsazione di una stella lontana che muore ancora prima che noi ne vediamo la sua luce irradiata in quello che Einstein chiamava la curvatura della luce nello spazio…
La sua poesia è luce che diventa spazio quando ad esprimerla per tradurla a noi comuni mortali è l’agilità della poetessa che incapsula istanti brevissimi ma lunghissimi attraverso la memoria, quasi fosse su un’altalena che salendo e scendendo da modo di vedere il modo che muta istante dopo istante restanto sempre uguale, ma solo per coloro che non possiedono l’immaginazione di pensare “dopo avere visto il mondo chissà se è veramente rotondo “
a pag. 60
“Il ticchettio di un’abitudine baciata dall’istante complice l’obbiettivo/ annuso il ticchettio di un’abitudine e il pensiero mi conduce altrove/Non sarà solo un ingranaggio a scandire il tempo/ è la memoria la pietra miliare di questa esistenza/il prima e il dopo del proprio ponte Morandi / La poetessa interpreta il tempo secondo il concetto di “sofos” amore per la conoscenza intesa come forma di esperienza e apprendimento che è perfettibile restando imperfetta.
“Il ticchettio di un abitudine baciata dall’istante complice l’obbiettivo” quante volte passati su quel ponte abbiamo vagato con l’orizzonte del mare di Genova innanzi agli occhi per poi indicare che essendo testimone del tempo “non e’ un ingranaggio ,bensì diventa ancella di una tragedia che compiendosi senza avviso diventa memoria collettiva e la poetessa ne ritrae l’angoscia propria del momento dove alla mancata risposta degli errori umani si sostituisce il senso della “dammnatio” della nostra esistenza…
La postfazione di Francesca Ribacchi rimarca come il verso libero della poetessa sia esegesi di una tensione volta alla materialità della vita che tutto è tranne che materia, nei versi della Piccino vi è quel piglio sano e insolente di chi non cura la forma per trasformarla in acidula confezione di parole, al contrario vi è un continuo incessante cammino di ricerca che scava come se fosse una trivella la semantica Aristotelica dell’esserci qui ed ora, attraverso la caparbietà tutta femminile di sfidare l’impossibile attraverso il presagio pionieristico che le donne sole possono salvare il mondo come scrive a pag.120
“Stalattiti di vecchi dolori incontrano le mie stalagmiti in umidi abbracci senza sole “.
Barbara Appiano