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THE SUICIDE SQUAD – MISSIONE SUICIDA: IL CINECOMIC CHE ASPETTAVAMO

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Pronti, partenza e via. A James Gunn bastano i primi minuti del prologo per prendere le distanze da quel pessimo film che lo aveva preceduto; anzi, fa di più, lo fa scomparire, lo cancella: The Suicide Squad – Missione suicida è da solo, è lui e basta, è la squadra di eroi cattivissimi e cazzuti di Gunn. Li butta là sullo sfondo di una bandiera americana troneggiante, che sa già di comico e di accusatorio, per poi, sempre qualche manciata di minuti dopo, farli morire in un tripudio splatter sulla spiaggia di un’isola. Ma morta una Suicide Squad, della quale si salvano solo il capitano e Harley Quinn, se ne fa un’altra. C’è da presentare quella vera ora, a pochi metri più in là, sulla stessa isola, Corto Maltese, laddove si svolgerà la vicenda, la missione suicida da cui il titolo. Insomma, Gunn azzera, nessun suicidio, è lui stesso ad uccidere l’opera precedente, il pessimo lavoro di David Ayer, e fare il suo film. Un film che, arrivati poi alla conclusione, ti rendi conto abbia fatto molto di più: ha asfaltato la stragrande maggioranza dei cinecomic degli ultimi anni, soprattutto quelli targati Marvel, quelli “il miglior film Marvel di sempre” o “il miglior cinecomic di tutti i tempi” della critica dalle lodi sperticate e servili. E lo ha fatto senza tanta difficoltà, in modo semplice: come? Riportando il Cinema al cinema.

The Suicide Squad attinge un po’ da I guardiani della Galassia dello stesso regista, ma il discorso qui si fa più maturo, ampio e consapevole, e nel caso specifico tutto questo si traduce in esagerazione: lo stile è grottesco, scorretto e violento. Un’esplosione di colori, di musica, di coreografie action capaci di catturare lo sguardo ma senza spegnerne la scintilla della contemplazione. Perché Gunn muove la macchina da presa e fa cose belle, e la bellezza si ammira. È il territorio dei B-movie quello su cui si muovono i personaggi di una sceneggiatura finalmente in grado di definirli interamente, legandoli al contesto, legandoli tra loro, legandoli al film, ma soprattutto allo spettatore: non corpi avulsi, ma ognuno con le sue specificità e punti di riconoscimento, personaggi che sono in grado di farti ridere, ma anche commuovere, che creano empatia sincera e non finta, mascherata dietro al fan service o alla facile retorica. Personaggi, come Harley Quinn, capaci anche di diventare essi stessi Cinema, perché al suo interno convivono più generi, più stratificazioni del linguaggio filmico.

Una sceneggiatura consapevole che un film sui supereroi o lo affronti alla maniera di Christopher Nolan o devi per forza non prenderti troppo sul serio. Questa squadra squarta persone a mani nude e si abbraccia, condivide di rapporti genitoriali fatti di amore e altri di odio profondo, uccide per sbaglio le persone sbagliate e salva rischiando la vita un’intera popolazione. The suicide squad è un film attuale, specchio di una società che commette il peccato e nasconde la mano, e in questo gioco divertente e divertito, anche il mostro alieno, il villain, con quella forma a stella marina, si trasforma infine in qualcosa di buono. Ecco che dietro al grottesco, alle battute scurrili, all’esaltazione del disgusto, alla violenza spiattellata, c’è un discorso che si leva e che fa perno sulla diversità e su come ci si ponga di fronte ad essa, sui crimini sottesi e sulle scelte necessarie da fare, sulla mostruosità della normalità umana e sull’umanità dei cosiddetti mostri e reietti. Gunn ci sa fare, con gusto, ma soprattutto con quelle responsabilità artistiche che molti altri autori di cinecomic si sono dimenticati o non hanno mai avuto: responsabilità verso lo spettatore, che non vuole essere considerato uno stupido, verso se stesso come artista, e verso il Cinema, che merita questi film qua, capaci e consapevoli a ribadirne l’esistenza e la sua necessità. Oggi più che mai.

Simone Santi Amantini

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