Il 6 e 7 novembre 2021 al Teatro Due di Parma
Il 6 e 7 novembre appena passati un Teatro Due di Parma gremito ci ha proposto “Miracoli Metropolitani“, che non stenterei a definire un documentario dalle tinte fosche, una tragedia contemporanea che è un sonoro schiaffo a ciascuno di noi. Una scenografia da 1984, un lavandino che ha visto tempi migliori, dei fornelli lontani dal concetto di HACCP, un tagliere che puzza di aglio e cipolla. Il vano cucina di un take-away dalle mura scrostate ospita la miserabile vita di questi Vladimir ed Estragon del nostro tempo. Di fronte a noi un tinello che si trasforma in una camera con letto a castello: the end. Grande assente in tal senso un tavolo, unico lontano emblema di un tempo in cui la convivialità esisteva ancora.
Quale la trama di questa storia? Complicata, intrecciata, sincopata come la vita. In uno spazio non noto, in un tempo distopico futuro (o presente?!), una galleria di vinti, dei Sisifo del duemilaventuno: un galeotto in libertà vigilata che sogna di diventare divo (cazzo!), un ex chef stellato frustrato costretto a scaldare sbobbe chimiche liofilizzate al lontano sapore di curcuma e cannella, una nonna che costruisce molotov perché ci crede ancora, una self-made woman in tailleur rosso i cui guadagni non sono mai abbastanza. E poi ancora, un insegnante sul punto del suicidio ossessionato da un fantasma del suo passato, un ragazzo viziato e analfabeta che trascorre i suoi pomeriggi con il joy stick tra le mani a giocare ad “Affonda il barcone”. E Hope, tuttofare etiope scaltra e machiavellica, disillusa e rassegnata ad essere una minoranza non voluta. La morte del bello, insomma.
Ogni battuta è essenziale ed efficace, ogni azione è spesso interrotta dalla voce meccanica e suadente di un Alexa che dà gli ordini numerati dei clienti del fast-food. In un’atmosfera apocalittica che ammicca al ventennio, fatta di intolleranza e rastrellamenti, i ben pensanti puntano alla visibilità, alla ricerca spasmodica dei likes, alle storie su Istagram da mongoloidi, detta alla Plinio. Tutto ciò mentre nel frattempo liquami densi e compatti sgorgano da ogni una grata da mesi e si impossessano di ogni luogo. Miracoli metropolitani è l’ennesimo marchingegno ad orologeria firmato Carrozzeria Orfeo. Sarà impossibile dimenticare Mosquito, Cesare, Plinio, Clara, Igor, Hope…e le urla senza suono di Clara. Questo elogio grottesco del post-moderno, in cui anche un frullatore acceso è un segno dal cielo, ci trattiene, ci scuote. E’ una campana che suona per noi. La messinscena ci tiene con gli occhi puntati sul palco per tutta la sua durata e ci perseguita nelle ore a seguire. Per fortuna, però, ci pensa la natura ad inondare di merda i vivi e i morti…
Chiara Cataldo