Una fiaba siciliana è il sottotitolo di Fiorelluccia, suggestivo racconto della prolifica scrittrice Lodovica San Guedoro.
Fiabesca è infatti l’ambientazione, una campagna siciliana trasfigurata dalla fantasia dell’autrice, e che tuttavia serba le sue caratteristiche peculiari: il sole cocente, l’aria salmastra, la vegetazione di fichi d’india. Fiabesco è il tropo della bambina selvaggia, che nelle sue fughe sugli alberi e nel suo parziale rifiuto della civiltà ci ricorda il rampante Cosimo di calviniana memoria. E fiabesche sono le vicende che la vedono coinvolta.
La protagonista della storia è Fiorelluccia, bambina di età indefinita e indefinibile, affidata alle cure della nonna, mamma Concettina, dalla madre, partita per l’America. Selvatica e solitaria, la bambina non riscuote le simpatie dei suoi simili, anche per via del proprio aspetto sgradevole e poco infantile. Solo la nonna sembra adorarla, tanto da giustificare ogni sua “marachella” e proteggerla dall’ira del marito, papà Turiddu.
Ma la caratteristica predominante, in Fiorelluccia, è un appetito formidabile, che la colloca definitivamente al di fuori della cerchia degli esseri umani. Incapace di resistere ai richiami del proprio stomaco, la ragazzina è causa di vere e proprie devastazioni, e non arretra neanche di fronte al furto, pur di procurarsi più cibo possibile. Dominata dall’istinto, la bambina-lupo fugge, caccia, divora, e in qualche modo contagia l’anziana nonna che, per inseguir lei, si avventura per la campagna e, per difenderla, affronta il marito, in una scena dai risvolti paranormali resa particolarmente suggestiva dalla sapiente penna della San Guedoro.
All’animalità delle due figure femminili si contrappone la razionalità maschile di papà Turiddu che, nel suo gabinetto all’aperto, erige l’ultimo baluardo della tranquillità domestica violata dall’avvento di Fiorelluccia. Ma ogni tentativo di ristabilire l’ordine è reso vano quando, dopo una fuga più lunga delle altre, ella si presenta insieme a un compagno, un ragazzo del tutto identico a lei, eccetto che per il sesso; e la coppia, guidata dalla medesima voracità, porta a termine la devastazione cominciata dalla sola Fiorelluccia.
L’infanzia come dominio incontrastato del desiderio è protagonista del racconto di Lodovica San Guedoro. Il soddisfacimento della propria fame è tutto ciò che tiene la bambina-uccello ancorata alla terra, e in qualche modo dipendente dagli altri suoi abitanti. Quando non mangia, Fiorelluccia “vola via”: scappa sui tetti, sale sugli alberi, sembra diventare invisibile ed incorporea. L’estrema magrezza, in contrasto con l’iperalimentazione, suggerisce una natura non umana della bambina; non diabolica, come vaneggiato dai superstiziosi abitanti del paese, ma fatata. Fiorelluccia è la donna-bambina che non cresce, che rifiuta di integrarsi nella società e che segue unicamente il proprio istinto e il proprio desiderio. Come eterna bambina, non può trovare un compagno se non in una versione maschile di se stessa, che incoraggi la sua salvatichezza anziché tentare di “ridurla alla ragione”.
Solo molte le chiavi di lettura che è possibile individuare nella fiaba di Lodovica San Guedoro.
Un racconto breve che richiede di certo una o due riletture, se si desidera provare a decifrarne i messaggi nascosti. Al primo approccio, “Fiorelluccia” appare come ciò che la copertina dichiara: una fiaba siciliana, con la sua dose abbondante di mistero e di magia.
Chiara Genovese