BERLINO, 12 FEB – Dopo gli encomiabili primi due film in concorso del 72° Festival Internazionale di Berlino ci sono stati un susseguirsi di film che, anche se molto sinceri e onesti, non hanno avuto un grande impatto tra il pubblico e le critiche presenti.
Il migliore di tutti è stato senza dubbio “Avec amor et acharnement” della veterana regista francese Claire Denis che racconta la tempestosa relazione tra una donna, confermata presentatrice di un programma culturale radiofonico, il suo attuale marito e il suo ex compagno, amici tra loro.
La trama è soprattutto l’occasione per due grandi interpreti del cinema francese come Juliette Binoche e Vincent Lindon, per la prima volta insieme sullo schermo. Il film si misura in un duello verbale, con la complicità claustrofobica dell’arredamento quasi unico: l’appartamento in cui vivono. Con l’aggiunta di primi e primissimi piani estremi, che fa quasi rivivere in un certo qual modo la celeberrima serie di Ingmar Bergman, “Scene di un matrimonio”. Le immagini assumono una grande forza e il rapporto tra i protagonisti si deteriora nelle le due ore e passa della pellicola. Il tema dell’amore però non è l’unico. La Denis attraverso una sottotrama cerca di rappresentare, un altro tema molto attuale in Francia, ovvero come la presunta supremazia bianca, sempre più messa in discussione, si relazione alla realtà del paese in questo momento storico.
Altre due donne hanno condiviso il programma di questi due giorni, l’indonesiana Kamila Andini con “Nana”, ambientato negli anni violenti del l’indipendenza del paese dalla dominazione olandese e la svizzera Ursula Meier con “La ligne”, su un rapporto tempestoso tra madre e figlia.
“Nana” è un accattivante omaggio alla bellezza della sua protagonista, Felice Salma, che dopo 15 anni di tranquillo matrimonio con un vecchio industriale, un uomo che gli ha dato sicurezza e tre figli, scopre che il suo primo marito, di cui è ancora innamorata, non è morto, il che la costringerà ad affrontare una nuova vita.
Ma tra paesaggi onirici, abiti in tessuto pregiati e musica evocativa, il film si accontenta di diventare una semplice telenovela di raffinata eleganza.
Ursula Meier torna al festival che l’ha premiata dieci anni fa con l’orso argento per la migliore regia per “Sister”, con questo duello generazionale tra una madre inadeguata (Valeria Bruni Tedeschi) e una figlia isterica e violenta (Stéphanie Blnachoud, a cui partecipa anche come autrice ai dialoghi).
L’argomento rimane un po’ superficiale e infatti la Meier ricorre alla qualità delle sue attrici senza però riuscire a impressionare il pubblico.
Antonio M. Castaldo