Auditorium Zubin Mehta, Firenze. Recita del 4 luglio 2022
Nello splendido Auditorium Zubin Mehta, nuova sala dalla buona acustica del Teatro del Maggio Musicale di Firenze è andata in scena in prima italiana Acis et Galatée, pastorale-héroïque di Jean-Baptiste Lully. Nato a Firenze, Giovanni Battista Lulli giunse quattordicenne a Parigi come garçon de chambre al servizio personale della duchessa d’Orléans e passare in seguito alla corte di Luigi XIV scegliendo, con calcolo politico, alla morte del Card. Mazzarino e conseguente ascesa al potere del Re Sole, di naturalizzarsi francese e trasformare di conseguenza il suo nome. La ‘francesizzazione’ di Lully era una calcolata adesione ai progetti del sovrano, che voleva opere musicali interamente francesi, e predominanti, rispetto all’opera italiana. Determinato e ambizioso, Lully esercitò una considerevole influenza sullo sviluppo del teatro musicale francese:
sbaragliando (e abilmente sbarazzandosi dei rivali) diverrà incontrastato padrone dell’ambito operistico con la produzione di notevoli tragédies lyriques. E proprio a Firenze (al Metastasio di Prato per ragioni logistiche) si ricorda una memorabile edizione di ATYS nel lontano 1986. Acis et Galatée è l’ultima composizione di Lully che, abbandonata la lunga collaborazione con il ben più valido Philippe Quinault, mette in musica il libretto di Jean Galbert de Campistron. Anche in questa pastorale-héroïque, genere intermedio (in tre atti e un prologo) che combinava sulla scena personaggi divini e mortali, nobili e pastori, Lully come sempre, attraverso cori, balletti e divertissement rende l’opera seducente e aulica, così come pregnante è il comparto strumentale. Il libretto s’ispira alle Metamorfosi di Ovidio, in cui nel libro XIII si narra della leggenda di Aci e Galatea: il pastore Aci ama, ricambiato, la ninfa delle acque Galatea, di cui è invaghito anche il gigante Polifemo che vedendosi respinto uccide per gelosia Aci, schiacciandolo sotto una roccia. Nettuno, ascoltando le suppliche di Galatea, lo riporta in vita trasformandolo in un fiume. Il lavoro fu
commissionato dal duca di Vendôme per rendere omaggio il Delfino di Francia, erede al trono, ospite nel castello di Anet, dove andò in scena nelle Galeries des Cerfs il 6 settembre 1686. Sul podio, alla guida dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, composta da 2 flauti, 2 oboi, fagotto, 2 tiorbe, tamburino e 2 clavicembali, viola da gamba e archi rigorosamente originali, Federico Maria Sardelli con bastone a segnare il tempo, come già Lully (causa della sua morte). Con quel suo gesto inequivocabile e autorevole, scandisce e concerta la partitura con gran senso aulico, infondendo alla pregevolissima direzione, una brillantezza e uno smalto sonoro di gran vitalità. Molto omogeneo il cast che comprendeva nelle parti del titolo Jean François Lombard, un Acis dall’ottima dizione, voce educata ma strumento non particolarmente ricco in armonici e smalto, con tendenza a sbiancare il suono quando sale. Ci consegna un amante tiepido e remissivo più che amorosamente appassionato, con fastidiosa tendenza a usare un esangue falsetto. Amante linfatico, a fronte dell’impeto e della varietà di colori interpretativi di Elena Harsányi un’intensa e sfaccettata Galatée, che evoca la figura della prima interprete Marie Le Rochois, dotata sia per i ruoli à baguette ossia volitivi o furiosi sia per i patetici. Brava attrice, la Harsányi in vestito di velo azzurro a simular l’elemento acquatico da cui proviene e che porta da par suo, ha la duttile capacità di passare, di trascolorire da uno stato d’animo all’altro. Voce ben proiettata, che “suona” e corre. Commovente nella scena della morte dell’amato, Enfin, je dissipe ma crainte. Luigi De Donato è un rutilante Polyphème, capace di rendere i tratti lievemente comici e maldestri e rozzi di cui Lully ha colorito il personaggio. Voce ricca e brunita, di buon smalto, cui resta da rifinire la rotondità degli acuti, non ben immascherati. Sebastien Monti come Apollon suona un po’ stylé, mentre è un valido Télème: credibile innamorato respinto è approfondito interprete che tende a sfruttare con naturalezza il registro di testa, che suona limpido e di squillante emissione. Stesse caratteristiche presta a Le Prêtre de Junon. Guido Loconsolo è Neptune, che non brilla completamente nella tessitura troppo bassa. Ben introducono il Prologue Valeria La Grotta nel ruolo di Diane, (anche deuxième Naïade), poi gustosa e sdegnosa Scylla fiera nel non voler provare le delizie dell’amore. Bene anche Francesca Longari Une Dryade e Davide Piva è Un Sylvain. Francesca Lombardi Mazzulli come Abondance, (ma anche Aminte e Première Naïade) mostra un timbro ricco e fluente di classica scuola italiana ma tende a spingere la voce quando sale in acuto. Mark van Arsdale sapido ed efficace Comus, (poi Tircis). In questa nuova produzione di Acis et Galatée, una festa pastorale, in cui l’azione è statica, la regia di Benjamin Lazar non tutto quadra, mescolando naturalismo al tono aulico che permea ogni composizione di Lully. Le scene di Adeline Caron sono un discutibile melange in cui si affastellano disparati accostamenti, conditi inizialmente da posticcia ilarità: uno spettacolo vagamente camp, con elementi classici di grandi dipinti frammischiati a finte rocailles e teatrino inseriti in una foresta. Svaporato il senso del merveilleux, di estrema eleganza e stilizzazione, gioco sofisticato di festa pastorale con precise allusioni. Costumi manierati e lambiccati curati da Alain Blanchot, a dir poco eccentrici e creativi (occhiali e stivali dorati per Apollon, con gran parrucche biondo lisciate e manica di pizzo traforata (una sola) per Teleme, il mostruoso trucco di Polyphème (ma con penchant di guanti da motociclista e parruccona e decor di paillettes). Efficaci le luci da Christophe Naillet e coreografie non particolarmente creative e originali di Gudrun Skamletz, rese efficaci da un espressivo quartetto misto di danzatori dove spiccava la stessa Skamletz. Inutile sottolineare l’importanza della danza nelle creazioni di Lully, e non fa certo difetto Acis et Galatée in cui i danzatori raddoppiano i protagonisti sull’impiantito del “teatrino” campestre. Ottima la prestazione del Coro diretto da Lorenzo Fratini, posto nella buca orchestrale. Curiosamente i sovratitoli non erano nella lingua originale, ma in italiano e in inglese. Entusiastica la ricezione del pubblico, che decreta a Sardelli un vero trionfo di applausi così come alla protagonista Elena Harsányi.
gF. Previtali Rosti