Gli spettacoli della settimana scorsa per la rassegna “I Solisti del Teatro”, che si concluderà domenica 4 settembre con il lavoro “Sorelle” dal romanzo di Alberto Bassetti, c’ha fatto riflettere su due figure della leggenda del mito classico, scavandone a fondo i molteplici aspetti secondo quello che ci tramanda la tradizione orale ed artistica nella scrittura dei capolavori epici, in cui bisogna cercare di rintracciare un barlume di possibile realtà nella prosopopea degli autori per i loro eroi umani od i semidei. Il primo evento è stato “ Vanity Dark Queen” su Niobe regina di Tebe per la regia di Stefano Napoli che ha analizzato in una creazione di teatro – danza la figura di codesta sovrana che, avendo avuto 50 figli, voleva essere felice e grandiosa al pari degli abitanti del monte Olimpo e sfidarli nella loro potenza, similmente a quello che dipinse con la battaglia dei Giganti contro gli Dei nelle Sale di Palazzo Tè a Mantova l’eccelso Giulio Romano. Naturalmente tale condizione gioiosa era possibile soltanto agli Dei, che punirono la megalomane superbia della regina con le frecce acuminate scagliate da Apollo ed Artemide contro i suoi numerosi discendenti e sulla scena si notano orride visioni cruente di sangue, tinto per fortuna, che esternano tutta l’amara e lancinante sofferenza da cui fu distrutta Niobe trasformata in una roccia pietrosa e lacrimevole, come documentano Ovidio ed Igino. La sua fine è stata come quella del Prometeo di Eschilo che, per aver varcato il limite posto dal Fato e dagli Dei aprendo il vaso di Pandora da cui scaturirono tutti i mali per i nostri corpi fragili, fu condannato ad essere legato ad una rupe mentre un’aquila gli rodeva impietosamente ed in continuazione il fegato, che sempre gli ricresceva. Poi la scultura di Niobe è diventata prezioso elemento decorativo di giardini e fontane, con la seduzione estetica concepita dagli Elleni come un difesa e ricordo contro il dolore e la morte. Il regista ha visto tutto ciò nella Sala dei Niobidi alla Galleria degli Uffizi a Firenze, che dopo il Colosseo di Roma ancora insuperabile anfiteatro dell’antichità Flavia, è il Museo più visitato d’Italia ed infatti parecchi turisti stavano facendo le foto, mentre un ragazzo era intento ad elaborare un ritratto ed allora ecco che sulla scena di lato un artista silenzioso sta plasmando il volto di Niobe con l’argilla ed intanto la compagnia “Colori proibiti” con P. Bielli F. Borromeo, A. Bravo, G. Galfo, L.P.Patano e S. Palmiero, realizzano l’avvincente e drammatico intreccio c he termina con Apollo che ribadisce la sua regale ed indiscussa sovranità incoronandosi con le frecce assassine. C’è da osservare che la lettura psichica e protostorica di Napoli non è la prima volta che si confronta con la mitologia in quanto già dal maggio del 2000 aveva rivelato questa sua passione, presentando al teatro Rondò di Palazzo Pitti a Firenze “Ruggine” da una trascrizione onirica su “I Persiani” di Eschilo, seguito dalla revisione del “Prometeo liberato” di P.B. Shelley che con una forte e suggestiva emotività si realizzava in una piscina di Acque Albule di Tivoli. Nel maggio del 2006 allestì una sperimentazione fisica sull’immolazione della figlia Ifigenia in Aulide da parte del re di Argo Agamennone, discendente dalla dinastia degli Atridi, per andare valorosamente alla guerra di Troia con garanzia del successo, per rivendicare l’onore del fratello Menelao re di Sparta a cui Ettore, uno dei 50 rampolli di Priamo, aveva sottratto per infedeltà coniugale Elena. Frammenti s’erano posteriormente avuti con lo studio del potere, della passione amorosa di Cleopatra regina ultima dei Tolomei per Cesare ed Antonio, sconfitta nella battaglia di Azio del 31 a. C. ed uccisasi con la puntura d’un aspide; infine nel 2017 era stato ripreso l’esame lirico ed a tutto tondo della controversa figura estenuante e contraddittoria della suggestiva e piacente Elena. C’è da rimanere stupefatti ed ammirati di fronte a tanta visionarietà, come accadeva nel Medioevo con lo Stilnovismo fondato da G. Guinizelli per l’incantesimo degli occhi suscitato dalla “donna angelicata”. Il 25 agosto quindi l’autrice ed interprete Maddalena Fallucchi ha portato in scena il suo testo “ Circe: le origini” in cui esplora la prima parte della vita e della personalità della semidea in oggetto , figlia del dio sole Elios e della ninfa Perseide, sorella di Scilla che domina il famoso stretto dell’Italia meridionale tra la Calabria e la Sicilia, dove pare che l’Ulisse dell’”Odissea “ s’imbatté nei famosi uccelli detti Sirene e si dové tappare gli orecchi con la cera per resistere alla loro persecuzione e sopravvivere, nonché di Pasife moglie del re di Creta Minosse, che controlla le ”male bolge” dell’Inferno. Circe da giovane s’innamorò del bel Glauco e desiderava che la nonna Teti gli donasse l’immortalità, mentre era fiera avversaria e gelosa di Scilla con cui non correva un legame affettivo per essere stata esiliata sull’isola , da cui poi per la mitologia sarebbe nato il celebre promontorio e Parco che avrebbe preso secondo la leggenda la sua conformazione fisica. Inoltre le divideva il controllo del mar Tirreno, come sarebbe successivamente avvenuto tra Romani e Cartaginesi con le guerre puniche per il dominio del “Mare Nostrum” ovvero il Mediterraneo. Provava invece simpatia per l’altra congiunta Pasife che aiutò a partorire il Minotauro, dopoché era accaduta la fantastica seduzione provata per il toro con la versificazione epica della fiabesca tradizione erotica dell’avventura “La bella e la bestia”. Mentre s’impegnava, come provetta levatrice, a far nascere il frutto animalesco della tresca si sentì mordere e tirare il braccio, che per poco non ci rimise. Perciò l’interiorità di Circe è un caleidoscopio di sensazioni e pulsioni, sentimenti e rancori, che toccano un’aggressiva e violenta rabbia in certi frangenti, come l’amicizia affettuosa per il bel Glauco che soccorse con l’erba medica ed adagiò sulla spiaggia, l’amore per Ulisse, che ferì nostalgicamente pure il suo cuore dopo aver trafitto nell’ opera virgiliana “Eneide” quello di Didone , quando il condottiero riuscì a sottrarsi al suo legame, fuggendo abilmente com’era già successo con Polifemo e dopoché lei aveva trasformato una parte dei suoi sodali in porci. Una sfaccettata personalità che ha cominciato ad innamorarsi come donna emancipata degli uomini, che dovrà optare per il mondo celeste del padre o per quello terreno, ma quale sarà la sua scelta non lo sappiamo in quanto la ricostruzione della sua biografia mitologica della Fallucchi s’interrompe sul più bello non avendo altro materiale a disposizione. La partecipazione del pubblico abbastanza numerosa ha testimoniato l’interesse culturale per tale genere epico che merita d’essere approfondito intellettualmente, anticipando la scienza storiografica di Giambattista Vico che, sulla fine del Seicento a Napoli, la codificò con i suoi principi basilari ed ordinativi , tra cui la teoria dei “Corsi e ricorsi”.
Giancarlo Lungarini