La vita di Rakel è incasinata come la sua stanza, dove anche trovare una maglietta pulita per uscire può risultare una vera impresa. Fumettista? Astronauta? Guardia forestale? Assaggiatrice di birra? Rakel ha 23 anni e non sa cosa fare da grande. L’unica certezza è il profondo legame d’affetto che la lega alla sua coinquilina, una vera controparte di misura, di calma, di distanze al suo caos. Quando poi scopre di essere incinta di sei mesi, tutta la sua esistenza si sconvolge e capovolge montando ancora di più il suo subbuglio interiore ed esteriore. Non sa cosa fare di se stessa, come può pensare ad un’altra vita dentro di sé? Paura, rifiuto, serpeggiano nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, il senso di spaesamento di fronte ad un evento così grande aumenta come la nausea; vorrebbe scrollarsi di dosso il prima possibile questo sciagurato avvenimento: partorire e lasciare il bambino in adozione. Ma il Ninjababy, così inizia a chiamarlo Rakel dopo averlo disegnato, si mostra sotto forma di schizzo di cartone animato in tante circostanze con simpatici siparietti, accompagnando la mamma-creatrice-disegnatrice nei suoi spostamenti, e parlando con lei, un po’ come faceva Marylin Monroe con il feto nel recente Blonde, ma con meno seriosità.
Ninjababy si aggira dalle parti di Juno (2007) per contenuti e toni ironici e spigliati, ma anche in quelle più vicine geograficamente di La persona peggiore del mondo (2021, sempre una produzione norvegese), per la caratterizzazione di un personaggio femminile anticonvenzionale e appassionante, capace di approcciarsi alla propria vita disordinata con necessaria leggerezza. Rakel è la protagonista fuori da ogni schema di questa commedia irriverente e scanzonata diretta da Yngvild Sve Flikke, che arriva direttamente dalla Norvegia, e che tra un festival e un riconoscimento ha già fatto parlare di sé. Tra commedia e dramma, tra momenti esilaranti e altri più intensi e intimi, in un dedalo di dubbi, incertezze, contraddizioni, Ninjababy racconta con coraggio e sfacciataggine la storia di una maternità, senza moralismi o facili stereotipi, ma con discrezione e con quel bilanciamento che invece manca nella quotidianità di Rakel. È perciò un racconto di formazione: Rakel capirà cosa fare nella sua vita quando sposterà l’attenzione sulla vita di un altro; comprenderà, senza quei drammi che la società di oggi provoca per imposizioni ideologiche, cosa significhi essere mamma a partire proprio dalla sensazione opposta di non riuscire ancora ad esserlo.
La narrazione di Ninjababy procede senza una linearità di racconto che l’avrebbe appiattita, ma tendendo sempre all’imprevisto, al colpo di coda ironico o più dolcemente emotivo, al mix di stili (il cartone si innesta nella fiction), tratteggiando personaggi in modo netto nei loro modi e caratteri, ma mai staccandoli da un contesto e da un problema grande e reale con il quale si stanno misurando.
In uno dei bozzetti di Rakel è disegnata una foresta di alberi che mano a mano cadono o vengono tagliati. Infine questo quadretto di distruzione e abbattimento si trasforma in un paesaggio primaverile popolato da suoni e colori: tutto quello che sembra crollare intorno a Rakel servirà invece per riportare un ordine nuovo, un nuovo microcosmo vitale.
Simone Santi Amantini