Al Teatro Carlo Felice di Genova, recita del 30 ottobre 2022
Nell’apatica accidia di scelte cartellonistiche dei teatri d’opera italiani (e per paura di rischiare teatri vuoti), si staglia coraggiosa e da elogiare la scelta del Teatro Carlo Felice di Genova di aprire la Stagione 2022-23 con un titolo poco conosciuto, anche dai cultori musicali e mai rappresentato in Italia: Béatrice et Bénédict di Hector Berlioz. Opéra-comique in due atti, di cui lo stesso Berlioz curò il libretto con lo sguardo rivolto a Molto rumore per nulla dell’amato Shakespeare. Dopo tanti rinvii finalmente l’opera vedrà la luce a Baden Baden, dove ogni anno si organizzava un festival nell’elegante e alla moda stazione termale. Andò in scena il 9 agosto 1862 con esito positivo di calorose accoglienze: uno dei rari casi di un subito successo per una composizione teatrale di Berlioz. La stampa internazionale esaltò il lavoro, ripreso a Weimar l’anno successivo e ancora a Baden – Baden, ma mai a Parigi, sua città d’adozione, vivente il compositore. Il miglior giudizio di quest’opera lo darà lo stesso Berlioz: “È un capriccio scritto con la punta di un ago”. L’esperienza di musicista di oltre trent’anni lo porta facilmente a scrivere una splendida ouverture, creare ritmi melodici e quella “siciliana”, dal curioso colore non siculo, ma indubitatamente locale. Nuovo l’allestimento in scena al Teatro Carlo Felice di Genova, nato da una collaborazione con l’Opéra de Lyon dove è andato in scena nel 2020, in assenza di pubblico causa pandemia. Molto omogeneo il cast, a partire da Héro, una convincente Benedetta Torre, dall’ottima dizione, canta appassionatamente l’aria d’ingresso Je fais le voir! pezzo “fiorito” nella coloratura di sapore italiano, su un accompagnamento amoroso e languido. Discreto timbro, ma tende ad aprire il suono man mano sale in acuto, ingrossandolo nella ripresa, con acuti un po’ schiacciati e vocalizzazione più aggredita che fluida. Si eleva nel bellissimo duetto con Ursule, il pezzo più conosciuto della partitura berlioziana: la magia si sprigiona, arabescata da finezze orchestrali di struggente sensibilità. Con Claudio, suo innamorato, a costituire la coppia idealizzata e serena che niente tange, perfetto contraltare alle sottigliezze psicologiche che caratterizzano invece la relazione della coppia principale. Yoann Dubruque, quale Claudio, è l’alter ego di Bénédict, lo stereotipo del bravo ragazzo, e come tale si comporta in scena: sapido attore e preciso dicitore. Intensa Béatrice di Cecilia Molinari, spigliata e frizzante in scena, piquante ma senza forzature da “bisbetica da domare”, dal timbro caldo di voce rotonda e omogenea, trova nell’aria Il m’en souvient di che far valere le sue capacità di ottima interprete nell’agire il personaggio e di perfetta dizione. Sfuma la voce al nostalgico ricordo delle angosce e spaventi provati alla partenza di Bénédict per la guerra, che presagivano e confermano il cambiamento d’animo: in orchestra il direttore incornicia con passionante andamento e serrata conduzione i sui nuovi sentimenti. Ma ancor si ascoltano accenti di fierezza, nella seconda parte, ed energica riluttanza, ultime resistenze agli impellenti richiami dell’amore. Un canto il suo sempre al servizio della parola e del sentimento. Julien Behr offre a Bénédict voce ben proiettata dal timbro vibrante di tenore contraltino che mantiene ricchezza di armonici anche nell’emissione di testa, con acuti timbrati e squillanti. Nel rondò, Ah, je vais l’aimer mostra impeto e sorpresa di passione, su un tessuto orchestrale magistralmente tessuto da Renzetti. Ursule dal brunito timbro mezzosopranile di Eve-Maud Hubeaux, pur con uso di suoni poitrinè, dà credibilità al personaggio nei preziosi duetti e terzetti. Ivan Thirion disegna Somarone severo e inflessibile, con punta di cinismo, più che figurare uno stolido e supponente musicista, amalgama caricaturale di tutto ciò che di accademico, pedante ed esibizionista c’era nel direttore d’orchestra del diciottesimo secolo, che Berlioz voleva prender di mira. Nella sua “improvvisazione” Le vin de Syracuse la voce non riesce a espandersi pienamente, mancando di quel reboante ampleur che si addice a un “trombone vanaglorioso in musica” risultando a tratti sguaiato e urlato, più che cantato. Nicola Ulivieri è un fascinoso Don Pedro padre amoroso di sicura dizione e presenza scenica. Léonato da Gérald Robert-Tissot, opaco nella dizione, ha qualche accento stentoreo. Donato Renzetti avvolge lo spettatore con melliflua dolcezza di suono e si profonde in preziosità sonore, tessendo la partitura berlioziana senza sacrificare la poesia agli effetti di sonorità. Perfetta intesa con l’Orchestra del Carlo Felice, in gran spolvero, duttile nel perseguire con fluidità gli intenti del Direttore, con equilibrio e attenzione ai contrasti sonori. Da rimarcare l’evocazione sentimentale del primo duetto, la guerriglia amorosa del primo incontro fra Béatrice et Bénédict; soggioganti gli sviluppi di ritmi incalzanti che si rincorrono sul malioso tessuto orchestrale e lo splendore dell’accompagnamento al trio di voci femminili. Coro efficace nella prima, raffinato e sognante nella seconda parte dell’opera. Béatrice et Bénédict era affidato al regista Damiano Michieletto che al netto di qualche esagerazione s’intreccia felicemente con la partitura di Berlioz. Scene di Paolo Fantin e costumi di Agostino Cavalca. Indubbia sagacia registica, con estrema cura nei movimenti, mai scontati o ripetitivi nell’ipercinetica concezione registica. Scena nuda iniziale, con assembramento di microfoni; un magnetofono e Somarone che sembra fare il tecnico del suono, ma in realtà è il deus ex machina della vicenda, dirigendo il coro di attori per provar una sua composizione, fra dispiegamento di cuffie e microfoni, usati dagli attori principali nei dialoghi che prevede l’opéra comique. Simbologie se ne incontrano a iosa, dall’abito da nozze al retino acchiappa farfalle, per essere catturate e messe in vetrinetta. Così come accade ai mimi usati a raddoppio di Béatrice et Bénédict, in una foresta tropicale dove passeggiano in costume adamitico, proiezione dei due protagonisti restii a farsi irretire in schemi precostituiti, rivestiti a forza delle convenzioni sociali e rinchiusi, come le farfalle, nella teca dorata. Gustosa scena del duetto iniziale, su letto matrimoniale di ronconiana visone verticale; schermaglia amorosa che taglia in due la scena e il materasso. Meno ispirata la presenza dello scimpanzé, emblema della selvaggia Béatrice? che familiarizza con il soldato Bénédict fin dal suo apparire. Successo caloroso per tutti gli interpreti, particolarmente sottolineato per Cecilia Molinari e Donato Renzetti. Unico neo non aver poter seguire il testo originale francese, nei sopratitoli.
gF. Previtali Rosti