Tempo di Natale, gioia dei cuori e riscoperta dei sentimenti elementari dell’individuo, favorita pure dalla musica con dolci nenie, litanie, sublimi concerti delle “star” internazionali e dal Gospel evangelico a stelle e strisce: ecco dunque il momento opportuno per la prima esposizione della produzione pittorica e scultorea della celebrità statunitense delle sonorità jazz e country Bob Dylan , impostosi intorno alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso. La sua musica denota una notevole preparazione culturale e filosofica accresciuta dalle sue riflessioni umanistiche, civili e politiche, che l’hanno spinto a comporre un enorme catalogo di brani differenti per motivazioni e perfezionati da disegni e schizzi grafici. Da ultimo la sua vasta collezione di cimeli artistici, in cui la musica e la pittura si sono congiunte similmente al rapporto biunivoco tra poesia e dipinto, s’è ulteriormente corroborata con la scultura ed allora al MAXXI, che ha cambiato il presidente sostituendo la Melandri con il collega Giuli, secondo la consuetudine dello “spoil system” ai vertici con i Governi entrati in carica , ha pensato bene di allestire la prima esposizione europea delle sue opere alla quinta galleria del terzo piano della struttura. V’è raccolta mezzo secolo d’attività poliedrica in tutti i settori di cui s’è occupato con vitale dinamismo, geniale inventiva e felice capacità di contaminazione multidisciplinare, dispiegata in 8 sezioni dalla più elementare con il disegnare estemporaneamente ogni minima realtà che osservava alla più sofisticata unione tra segni apposti vicino allo spartito musicale. Il suo è stato un progressivo cammino bilaterale e parallelo tra le due Muse : scritture di note e visioni di soggetti animati , cose, paesaggi e persone della sua nazione con le periferie, i pub ed i bar di cintura, le carreggiate e l’autostrade che collegano i diversi Stati attraversando desolati deserti, lande sterminate e costellate di poche umili abitazioni, su cui le macchine nei bagliori della giornata sfrecciano veloci e sembrano non finire mai. Cambiano le tecniche esecutive, i colori e le prospettive per ottenere nuove immagini con un’esplosione di sensazioni emotive negli spettatori. Tutta la sua immensa cultura nata con le tournée musicali è messa a frutto e mostrata con le due forme espressive di cui s’è servito: le canzoni ed i disegni, la bellezza del “landscape” americano e l’esistenza d’ampia stratificazione sociale ed economica della collettività dei suoi compatrioti. Alla fine della mostra lo scopriamo quasi nei panni del fabbro che con i reperti d’una rivendita di ferramenta costruisce sculture, oggetti funzionali con materiale riciclato e pezzi adattati ad un nuovo uso con zero spesa, che rimandano non solo alla sua adolescenza nella parte mineraria del Nord Minnesota, ma pure al glorioso passato industriale degli Stati Uniti con il Fordismo e Taylorismo, fino al crollo della Borsa di Wall Street nel 1929 per l’eccessiva produzione e la conseguente inflazione. Nel 1973 pubblicò il suo primo album musicale intitolato “ Writings e Drowings” in cui raccoglieva i brani scritti tra il 161 ed il 1972 accompagnati da figure a tutta pagina di quanto gli era venuto a tiro : un crocifisso, una rosa, matite, coltelli, spilli e scatole di sigarette vuote , anticipando così con questo esperimento riunito nella prima sezione con il nome “ Early Works” quello che avrebbe fatto in “Mondo Scripto “ che è esibito nella terza sezione risalente al 2018 in cui i testi delle sue “hit” erano rafforzati da propri disegni che specificavano i titoli e passaggi chiave degli stessi con il ricorso alla grafite. Alcune strofi delle canzoni sono state trascritte di nuovo, mentre d’altre s’è limitato a modificare alcuni versi, in una continua opera d’emendazione e catarsi d’ogni settore in cui si cimentava, favorendo la comprensione con l’ariosa immagine del suo concetto in un tempo dilatato e diacronico tra passato e presente. D’altronde egli riteneva che non ci si poteva migliorare senza tener conto del passato e della tradizione, che comincia da quando si nasce; questo l’esplicita in “ The Beaten Path” in cui mette in primo piano la sfolgorante estetica del paesaggio americano, specie i luoghi marginali e trascurati, facendo un lungo viaggio sul territorio a tale scopo esplorativo. Vi sono riprese, con l’esecuzione dal vivo, tavole calde, motel lungo le strade battute, splendida la luminosità del camion con i fari accesi, luna park abbandonati, grandi palazzi illuminati dai lampioni e vecchie auto d’epoca, alcune addirittura sventrate e mostrate con i loro pezzi al piano rialzato .Nella quarta sezione definita “Revisionist” è possibile notare come l’intraprendente Bob rielaborò le copertine d’importanti riviste come “Rolling Stone “ e “ Playboy” per trasformarle in serigrafie di gigantesche dimensioni. Risultato del suo impegno sono state moderne realizzazioni emblematiche e simboliche in differenti stili. Tuttavia le frequenti tournée in America, Europa ed Asia, lo frenarono nel lavoro pittorico, dovendosi accontentare di spunti presi con la matita, il carboncino e la penna , con usi, costumi e tradizioni di varia foggia e civiltà. Nel passare dei decenni sono stati completati con il colore ed i dettagli analitici ,come ci dimostra “ The Drawn Blank”, nel quale vive testimonianze “on the road” ci vengono offerte con un empatico qualunquismo del suo sguardo. Comunque, la sua città ideale era New Orleans in quanto qui nacque la musica di cui egli si fece esponente principale, rompendo con il pop, i tromboni, le trombette ed i sassofoni, gli schemi e gli stereotipi classici, facendo di codesta metropoli sul Mississipi una vera poesia letteraria tramandata da famosi jazzisti quale autentica lirica propositiva, termine meridionale della “Route 61”, che scorre per tutta la parte centrale degli USA, avendole dedicato J. Kerouak un lungo e straordinario manoscritto. Dai pub, dalle ringhiere e dalle verande di questa città, caratterizzata dal “soul” dei neri, trae ispirazione con le sue vicende quotidiane che gli suscitano empatia con le loro suggestioni d’un recente passato intimo. Immagini situazionali suggerite dai film in cui i soggetti si trovano a dover combattere con le questioni dell’esistenza sono in “Deep Focus” la penultima sezione. Il montaggio di codeste foto, focalizzate in una miscellanea di primo e secondo piano, sfondo, rimanda al teatro, che non è altro che finzione della vita giornaliera, come ha codificato il sommo maestro drammaturgico e senatore a vita Edoardo De Filippo. Infine s’arriva ai manufatti in ferro ed in siffatta officina da fabbro finisce la mostra, che quasi si trattasse d’una circonferenza, rifluisce su se stessa riandando alla giovinezza di Dylan, trascorsa appunto nella zona mineraria definita “ Iron Range”, ossia catena rocciosa del ferro, in cui s’aggiravano operai e camion carichi del tesoro minerario da lavorare nell’industrie. Dai resti di quel settore secondario nascono le sue surreali combinazioni di cancelli, da cui entrano ed escono venti, persone ed atmosfere, di ringhiere, tipiche di quell’età , nonché astrusi mobili di risulta .Non per nulla quest’ultima sezione è stata etichettata “Ironworks” lemma assai esplicito e che esime da ulteriori considerazioni. La Mostra esclusiva ed in prima assoluta sarà visitabile fino al 30 Aprile del prossimo anno e va visionata al MAXXI di via G. Reni al Flaminio per capire tutta l’impressionante e variegata cultura di quel menestrello che era Bob Dylan.
Giancarlo Lungarini