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Gabriele Lavia a Bergamo con il Berretto a sonagli di Pirandello. Il gioco delle parti che domina il mondo

Data:

Al Teatro Donizetti di Bergamo fino al 15 gennaio 2023

Il berretto a sonagli nasce dall’estro del grande attore Angelo Musco, propiziatore della creazione del copione teatrale in dialetto siciliano, A birritta cu ‘i ciancianeddi, che Pirandello ricava da due novelle, La verità e Certi obblighi. La versione in lingua italiana della commedia vedrà la luce solo cinque anni dopo, non incontrando inizialmente i favori del pubblico. Passati gli anni trenta, dal successo della versione in napoletano interpretata da Eduardo De Filippo, allestita su precise raccomandazioni dell’autore, la commedia pirandelliana diventa uno dei testi che si ritrova nei cartelloni dei teatri di prosa con più frequenza. La vicenda si basa sul classico tema dell’adulterio, o del supposto adulterio, che una signora della buona società di provincia, Beatrice Fiorìca, vuole a tutti i costi far emergere. Volendo reagire ai rigidi schemi sociali imposti, la Signora, aiutata dalla Saracena, intrigante e pettegola, si è messa in testa di smascherare le trame amorose che il marito conduce con Nina, la bella e giovane moglie dello scrivano Ciampa. Convoca il Delegato di Pubblica Sicurezza Spanò per convincerlo della veridicità delle sue supposizioni, pregandolo di appostare una persona che possa sorprendere gli amanti in flagrante adulterio. A questo proposito riesce ad allontanare con un pretesto dalla sua abitazione Ciampa, che avendo fiutato le intenzioni della signora Fiorìca, cerca di dissuaderla con sottile dialettica dal continuare nel suo disegno, facendole balenare le possibili conseguenze, disastrose per tutti. Fallita la mediazione, Ciampa, consegna lui stesso alla Signora le chiavi di casa, ponendo l’accento che in questo modo “le affidava la moglie”. La polizia sorprende il Cavalier Fiorìca con Nina, e pur senza poter provare l’adulterio, viene redatto un verbale d’arresto per i supposti amanti. In breve la piccante notizia fa il giro di tutte le bocche, e nella cittadina non si parla d’altro. Per correre ai ripari, la signora Fiorìca si accontenta della lezione inflitta al marito, rinunciando alla protesta sociale contro ogni tipo di convenzione e perbenismo. Resta da riparare l’ingiusta fama di “marito tradito” che il povero scrivano si ritrova sulla fronte. Per salvare l’onore di tutti, ma soprattutto il suo, Ciampa reclama che il “puntiglio” di una signora sia stato in realtà dettato da una forma di squilibrio mentale, riuscendo a ottenerne l’internamento in una casa di cura. Come detto Il berretto a sonagli trae spunto, o addirittura una prosecuzione, in cui Pirandello innalza il tema del “delitto d’onore” e fa compiere al protagonista un avanzamento, investendo Ciampa di una filosofia che ispira a staccarsi da un’impossibile difesa del “pupo” sociale, per culminare nella dirompente intuizione della pazzia: forza liberatoria che permette di rivendicare la propria dignità umana. Lo spettacolo firmato dallo stesso Gabriele Lavia, si apre sulle scene di Alessandro Camera, un relitto di vecchio fondale di teatro animato dalle ombre cinesi dei personaggi, in attesa di entrare a vivere la scena. Un disadorno salotto disseminato da sbilenchi divani è popolato da una folla di manichini, gli “altri”, astanti che pur silenti, assistono e giudicano la vicenda che si svolge. Regia penetrantemente teatrale, incentrata sull’apparenza del vivere non per se stessi ma per gli altri, seguendo un copione stabilito popolato d’irrealtà e fantasmi di nulla consistenza: purché siano salve le apparenze, in una sfera d’impalpabile spiritualità. I formalismi di una mediocre umanità di provincia, dove la santificazione della carta bollata è l’emblema della giustizia, il contorno di una borghesia da tappezzeria. In questa cornice scenica s’incastona la magistrale interpretazione di Gabriele Lavia, un Ciampa perfetto, dalla dizione insaporita da un leggero accento siculo che lo cala nel personaggio fino alle ossa. L’attore (nato a Milano ma di origini siciliane) con gesti misurati e pregnanti, sfaccettato nei toni e nelle pause, rende perfettamente la scrittura pirandelliana, lucida e geometrica. Traduce in pulsante tensione i dialoghi e i ritmi di un dramma, in disincantata quanto ferrea dialettica, sino a entrare in dimensione quasi allucinata. Scardinato dalle egoistiche passioni umane, l’attore trapassa in un lacerato stato di vittima: dolente e straziato in quel “Oh, che ero niente io?”. Assurgendo a “folle” allegria che lo permea alla fine, riagguantata la sublime dignità di uomo. A tanta altezza di recitazione non si affianca la resa del resto della compagnia, caricata spesso con enfasi ed eccessi da teatro dei pupi. O forse era proprio questo il fine del regista. Nei panni della signora Beatrice Fiorica Federica Di Martino, generosa ma alterna, dilacerata sin dalla comparsa in scena, persa in un’improbabile quanto fatale follia. Francesco Bonomo incontenibile Fifì La Bella, Matilde Piana altisonante Saracena, macchiettistico Delegato Spanò Mario Pietramala, valida caratterista di una scuola scomparsa Maribella Piana quale Fana, sopra le righe Assunta La Bella di Giovanna Guida e iconica presenza di Beatrice Ceccherini, Nina Ciampa. Fascinose musiche scelte di Antonio di Pofi, evocative nel suscitare apparizioni di salotti piccolo borghese della provincia italiana. Successo caloroso, con entusiastiche acclamazioni per Lavia.

gF. Previtali Rosti

Foto Tommaso Le Pera

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