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L’ambigua vena libertina beffata in “Falstaff e le allegre comari di Windsor”

Data:

Al Teatro Vittoria di Roma, fino al 23 aprile 2023

Già nell’antichità la commedia classica di Plauto c’aveva mostrato gli inganni dei servitori nei confronti dei vecchi padroni per favorire le relazioni sentimentali dei giovani ragazzi innamorati, come abbiamo visto in “Epidicus” al Teatro Arcobaleno, per cui non è strano che il “bardo di Avon” oppure il “cigno di Stratford” abbia ripreso quelle tecniche per sottolineare quanto avveniva come ambiente, etologia, movenze e dialoghi, nella società provinciale inglese del Seicento, prendendo come figura principe un inetto medioborghese di cui la classe aristocratica si diverte, dileggiandolo. Intendiamo parlare di Falstaff che Shakespeare aveva messo per linee generali nelle due tragedie “Enrico IV” ed “Enrico V”, tanto da renderlo piacente alla regina Elisabetta I che chiese al sommo William, che aveva creato il “Globe Theatre” in legno con il tetto scoperto ed un’attrice in abiti maschili in quanto non era dignitoso per le donne recitare, di costruire in poco tempo una divertente pièce su codesto personaggio, che proprio per la sua ingenuità mentale viene preso di mira e schernito nel suo stratagemma di farsi passare per innamorato di due belle dame al fine di rimpinguare le sue casse vuote, essendo rimasto senza quattrini. Nel moderno allestimento il geniale drammaturgo Roberto Lerici, di cui abbiamo celebrato poco tempo fa l’importante anniversario della morte, nell’adattamento del 1988 per Mario Carotenuto traspose la commedia “Falstaff e le allegre comari di Windsor”, redatta in 14 giorni, nel periodo successivo alla “Grande Guerra” , mantenendo tuttavia l’esplicito monologo di Falstaff, tratto dall’ “Enrico IV”, in apertura del lavoro prodotto dal teatro Belli del fu Antonio Salines , ricordato con rimpianto nostalgico dall’interprete principale Edoardo Siravo al termine della rappresentazione, insieme alla Compagnia G. Mauri – R. Sturno. In lui si rilevano tutti i difetti della società degli anni ’20 con la conflittualità delle classi, la necessità d’improvvisare modi per “sbarcare il lunario” nel quotidiano ed avere senza tante difficoltà il reddito sufficiente per vivere. Ecco che in lui si può notare il contemporaneo “Gigolò” giacché scrive due analoghe lettere d’amore a comare Page e comare Ford, incarnate rispettivamente dalle brillanti Susy Sergiacomo e Gabriella Casali, che non sono “pettegole e civettuole” come il titolo italiano impreciso farebbe pensare , bensì virtuose , oneste e fedeli, per cui per rimanere castigate donne, “angeli del focolare domestico”, non ci mettono molto a smascherare la “mossa sbagliata” del bisognoso Falstaff, che oggi sembrerebbe uno stolto imprudente, ideando con l’amica Quickly, che è impersonata stupendamente da Francesca Bianco dalla slanciata figura e superba recitazione, moglie del defunto Salines che ha preso su di sé il compito di dirigere il teatro di piazza Santa Apollonia, una serie di beffe contro il protagonista di cui Edoardo Siravo c’offre una smagliante, sarcastica, umorale e grottesca versione, tradito pure dai suoi servi dei quali ha dovuto disfarsi non avendo più la possibilità di pagarli. Intanto le mogli, in particolare la signora Ford, informano i mariti della presunta tresca ordita da Falstaff ed allora scatta un altro intrigo dato che Frank Ford, cui dà vita Ruben Rigillo, gli domanda , passando per mister Brook, di soccorrerlo nella conquista della signora Ford di cui s’è invaghito e Falstaff, che agisce solo in nome del denaro, glielo promette. Dunque al primo appuntamento galante Falstaff per non essere colto in flagrante dev’essere rinchiuso in una cesta piena di panni sporchi che viene gettata nelle fredde acque del Tamigi. Invece in casa Page moglie e marito discutono sul giovane da dare per marito alla figlia Anne, resa con il candore dell’età della fanciulla da Beatrice Coppolino, ma lei non vuole giustamente il promesso su cui i genitori sono divisi accanitamente, poiché al cuore non si comanda e quindi non vanno bene né il dottor Caius in cui si cala R. Tesconi e nemmeno Simplicio in cui giostra con ricercato diletto da A. Laprovitera. Il vero amante per cui batte il sentimento è Fenton che Fabrizio Bordignon fa vivere con abbracci e baci furtivi in quella frenetica sarabanda di personaggi che entrano dalle luccicanti porte marroni chiaro sul fondo del palcoscenico. Le disavventure per Falstaff non sono finite perché nel nuovo incontro preventivato da lui ancora una volta sopraggiunge il padrone di casa ed allora che fare, per sottrarlo alle botte? Madame Ford lo veste da donna esilarante e paradossalmente incredibile per la grande corporatura con una grossolana parrucca che non gli calza a pennello, non evitandogli pertanto le percosse. Per l’epilogo della vicenda le sospirate e corteggiate signore in abiti e vestiti del primo Novecento gli danno appuntamento nel bosco per circuirlo e schernirlo come elfi e ninfe, secondo la visione panica e bucolica del Trecento tipica del Boccaccio con “Amorosa Visione” e “ Ninfale Fiesolano”, mentre Anne ordisce l’inganno ed un intelligente tranello per i fidanzati scelti dai genitori per lei che, contro il proprio volere, dovrebbe impalmarne uno. Lei garantisce a Fenton che s’avrà fede in lei riusciranno a coronare il loro sogno d’amore e quelle della sua famglia resteranno semplici utopie, perciò unitamente a due ragazzi indossa abiti femminili e vittima della trappola con frizzante parodia della messa in scena “en travesti” sarà soprattutto Caius che, tonto quanto il pretenzioso e sussiegoso Falstaff, finirà addirittura per sposare il ragazzo rapito inconsciamente. Al legittimo e felice matrimonio di Anne e Fenton parteciperà anche Falstaff punito abbastanza per aver fatto il “passo più lungo della gamba”, dovendo ognuno riconoscere i propri limiti e le sue capacità, non inventando puerilmente storie che hanno “le gambe corte” per la loro puerilità e sono facilmente comprensibili nel loro smaccato raggiro. Falstaff è quindi il prototipo della decadenza fisica e morale, con un’azione dettata dalla vanità e da interessi personali che contraddicono il vero e sincero amore, portandolo alla rassegnazione, ma non a perdere la resistenza e quella che noi ora definiamo caparbia resilienza di fronte a punizioni e calunnie, che fanno la somma con le false notizie ed informazioni quali quelle che Ford fornisce, fingendosi Brook, per coglierlo sul fatto della tentata seduzione alla moglie. Vi sono relazioni profonde ed autentiche come quella di Anne e Fenton sempre da favorire eliminando gli ostacoli, come c’indicò il fecondo satirico Plauto e qui W. Shakespeare lo riprende con un abile espediente, mentre è da condannare la gelosia dei mariti che in questo caso fanno male a non fidarsi delle caste e nobili mogli che avevano e qualità interiori che il drammaturgo e commediografo dell’età elisabettiana aveva espresso con il vero titolo albionico “The Marry Wives of Windsor” dello spettacolo che sarà replicato al Vittoria in Testaccio fino a domenica prossima 23 aprile con la fresca, goliardica e sagace regia psicologica di Carlo Emilio Lerici, con le musiche veloci e sbrigliate di Francesco Verdinelli ed i costumi del primo quarto del XX secolo di Annalisa Di Piero. Insomma si può intendere la volontà dello scrittore di studiare il livello deontologico e culturale della classe media iniziato con “La Bisbetica domata” e continuando con “ As you like it”. Poi dal 2 al 7 maggio andrà in scena il soggetto di Simone Cristicchi ed Ariele Vincenti che riproporrà quanto avvenne in Ciociaria nel 1944 e di cui rammentiamo il famoso film storico con Sofia Loren, cui i soldati marocchini, detti “Goumiers”, fanno violenza quale moglie del pastore locale Angelino vicino a Montecassino, con il riconoscimento da parte dell’esercito alleato del “diritto di preda” per aver sfondato la linea “Gustav” con parziale distruzione dell’Abbazia. Era l’altra sanguinaria, brutale e tragica faccia della Liberazione, dopo lo sbarco di Anzio e prima dell’ingresso a Roma il 4 giugno del 1944.Una pagina di Storia patria e civile che deve continuare a palpitare nei cuori pure di chi ancora non c’era e che sarebbe stata riaffermata con la vittoria delle forze democratiche il 18 aprile del 1948.

Giancarlo Lungarini

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