Al Teatro Sociale di Brescia, fino al 14 maggio 2022
Dopo essere andato in scena in prima nazionale al Teatro Biondo di Palermo, arriva sul palcoscenico del Sociale di Brescia Boston marriage, scritto da David Mamet, nella traduzione di Masolino D’Amico, Uno dei drammaturghi più provocatori, ma anche fra i più venerati d’America, Mamet con questo divertissement sembra essersi preso un gioioso distacco dal genere letterario che sempre ha frequentato, facendo un’incursione nel territorio del comico. Felice e travolgente commedia degli equivoci, intinta nell’inchiostro di una velata satira sociale e al perbenismo americano imperante, non è disgiunta da divertita presa in giro e messa in berlina della retorica e ampollosa produzione letteraria di fine ottocento. Boston marriage sta a significare una convivenza fra due donne, indipendenti economicamente e senza un sostegno maschile, non necessariamente implicante una relazione sessuale. Il termine è antico, e non certo inventato da Manet; si cominciò a usarlo probabilmente dopo la comparsa nel 1886 di The Bostonians, il romanzo in cui Henry James descriveva in dettaglio una relazione simile a un matrimonio tra due donne. Erano “nuove donne” nella lingua dell’epoca: donne indipendenti, non sposate, autosufficienti (il che a volte significava vivere della ricchezza ereditata o guadagnarsi da vivere come scrittrici o altre carriere professionali e istruite). Boston marriage è ambientato in un salotto vittoriano in cui due brillanti e intraprendenti donne, Anna e Claire, tornano a rincontrarsi, dopo aver vissuto insieme ai margini della società alto borghese. Anna vive nell’agiatezza economica dopo esser diventata l’amante di un uomo ricco che, per gratificarla della sua “dedizione” le fa dono di una vistosa collana di smeraldi. Claire, svelando all’ex amica di essere perdutamente innamorata di una giovane donna, è tornata per chiedere e ottenere la sua compiacente complicità. La commedia si dipana su continui colpi di scena, intrecciati a sarcastiche battute che le due donne indirizzano alla monolitica e primitiva cameriera della casa, in un divertente altalenar di scrittura alta e bassa, di linguaggi forbiti e grossier. Boston marriage è andato in scena per la prima volta nel 1999 all’American Repertory Theatre, Cambridge, Massachusetts, poi a New York City nel 2002, ricevendo critiche positive del NY Times, Boston Globe e NY Post; la prima britannica fu al Donmar Warehouse, Londra, nel 2001. Boston marriage è una coproduzione del Centro Teatrale Bresciano e Teatro del Biondo di Palermo: a Giorgio Sangati il compito di portare sulle scene italiane questa commedia americana. Il giovane regista padovano lo fa in maniera brillante, attento ai veloci ritmi della pièce, spassoso nel divertito connubio di luccicante artificio della parola mischiato a una verace freschezza del nostro contemporaneo sentire. Sul palcoscenico una delle migliori attrici italiane: Maria Paiato, che ruba letteralmente la scena, a iniziare dall’esilarante ingresso in cui si esibisce, ancor prima che con la voce, con mimica facciale e pose plastiche alla Francesca Bertini. Prosegue sanguigna la recitazione, di testa e di corpo, iniziando la camaleontica presa di possesso del personaggio che fa con maestria, non risparmiando l’impegno fisico di un’infinita gamma di gesti delle espressive mani, ma soprattutto nell’incommensurabile dispiegamento di colori di voce -in un travolgente quanto prezioso gioco di sfumature – in cui eccelle. La Paiato sfoggia recitazione accurata e puntuta, a riflettere il gioco di scrittura nella variegata descrizione dei comportamenti dell’animo delle protagoniste: Anna è resa in tutta la sua eccentrica e stravagante determinazione con tono sempre ampollosamente bonario quanto gustosamente vetriolesco, da cui traspira, fisica e palpabile, la vibrante passione per l’antica amica. L’attrice rodigina, per dare credibilità a un personaggio che tende a diventar irreale e quasi metafisico, “spinge” sul pedale della comicità con una recitazione intinta in un’ironia e un’enfasi volutamente esagerata per renderla accattivante. Le due protagoniste, nel pirotecnico gioco della scrittura di Mamet, si prendono spesso alla gola con un’ironia devastante rendendone – con comica e provocatoria espressività del viso – i tratti sensuali e al tempo pungenti quanto espliciti. Più concreta e terrigna la recitazione di Mariangela Granelli, una Claire che non perde di vista il motivo della sua venuta, tenendo ben testa alla dirompente e fantasiosa energia dell’amica. Con un fraseggio convincente riesce a dare credibilità a un personaggio avventuroso, accalappiando lo spettatore quando svela, con lacerante sincerità, il suo reale mondo interiore. Efficacissima Ludovica D’Auria, che regala all’indolente e ottusa cameriera insospettati tratti di sapida saggezza primordiale. Le scene erano di Alberto Nonnato; di alto artigianato i preziosi costumi di Gianluca Sbicca, misurati quanto espressivi gli interventi musicali di Giovanni Frison. Accoglienza calorosa per le tre attici da parte di un pubblico festante.
gF. Previtali Rosti