Teatro Argentina di Roma, 16 – 21 maggio 2023
Il buon funzionamento d’uno Stato si basa non solo sull’avere una classe politica preparata, sensibile agli interessi ed all’esigenze della popolazione, ma pure su un efficiente apparato di Direttori di divisione, dirigenti ed impiegati, che quotidianamente svolgano con laboriosità puntuale e scrupolosa il loro lavoro. In Europa invece quasi la metà del totale dei cittadini è scontenta della P.A. in quanto la trova troppo complessa, poco trasparente e concreta, affogata nei mille cavilli giuridici e nell’enorme congerie di leggi e codicilli che ne impediscono la veloce funzionalità. Tuttavia questo sembra essere anche un male dl Sud America e ce ne dà un’esplicita testimonianza l’arguto e brillante scrittore del Paese campione del mondo nel calcio con il suo lavoro di denuncia socio – civile intitolato “Edificio 3”, che è stato rappresentato con largo consenso di pubblico allo Stabile di Roma con la produzione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa. Possiamo affermare che è l’esatta fotografia in primo piano ed una “sit – com” in un interno di 5 impiegati, ognuno con una tipologia e personalità diversa, che trascorrono la loro giornata ai rispettivi tavoli, pur se talora s’abbandonano a discussioni, polemiche, reciproci rimproveri, come quello a Sandra d’arrivare sempre in ritardo poiché tanto le assenze non vengono prese giacché la Direzione è stata trasferita altrove, come a Roma si sta pensando da tempo di trasferire tutto allo SDO. Tutto sembra concorrere a disincentivarli in maniera progressiva, a deprimere la loro voglia di rilancio, intento etichettato come assurdo nel sottotitolo, del palazzo fatiscente e dell’ufficio pieno di scartoffie senza un ordine di catalogazione ed in disarmo al punto da favorire la loro verbale dialettica futile e rallentare con superficialità lo scopo propostosi di distinguersi per merito. Ne risultano effetti esilaranti e paradossali, umoristici ed estremamente frizzanti, che hanno consentito al pubblico di esplodere in fragorose risate, ma pure di rispecchiarsi nei vari personaggi, rapportabili a quelli del capolavoro di L. Pirandello “Sei personaggi in cerca d’autore”, che rimandano il comportamento e l’abitudine che i dipendenti tengono singolarmente sul luogo di lavoro. Qui , come nel caso della pièce osservata, s’arriva già stressati dato che l’ascensore è spesso rotto e bisogna farsi le scale a piedi, poi manca altresì l’opportunità del ristoro a motivo della “defaiance” della macchinetta del caffè. Localmente perciò la situazione ristagna ed anche la migliore buona volontà viene meno, per cui ognuno bada più che alle pratiche da espletare ai suoi problemi ed a rintuzzare aspramente i compagni di stanza, tra i quali si nota dunque un eccesso d’individualismo rispetto ad uno spirito e legame di solidarietà. Sandra ,la ritardataria incarnata da Giorgia Senesi e che spera di poter sempre contare sulla complicità omertosa dei colleghi ,desidera rimanere incinta per non continuare a rimpiangere il primo amore e vincere la distruttiva solitudine che a lungo andare deprime ed avvilisce non avendo una “spalla” su cui appoggiarti ed uno scopo per cui vivere ;Ettore cinquantenne, reso da Rosario Lisma con perplessità e circospezione perdendo spesso la logica connessione delle frasi pronunciate ,è colui che come figlio unico non deve più preoccuparsi della vecchia madre ormai deceduta ,al contrario elaborare difficilmente il lutto e non rendersi ridicolo per lasciarsi piegare in due dal dolore, che perennemente sgorga dal cuore in maggiore o minor misura. Ora deve incontrare una compagna di vita e la telefonata, cui risponde con un elegante cappotto marrone ,criptata ed allusiva esterna i primi impacciati tentativi d’amore, in cui cerca di coinvolgere pure la collega ,nella somiglianza a quanto accade nelle scuole, nei presidi sanitari e nell’istituzioni pubbliche elefantiache ,più matura e perspicace, misurata ,Sofia nelle cui vesti sulla poltrona s’esibisce con il giusto tono Stella Piccioni. Ciò provoca l’irritazione del suo giovane amante Manuel dal carattere ancora non formato e oscillante tra insicurezza e fiero orgoglio violento ,che Emanuele Turetta fa ben risaltare secondo la regola teatrale dell’immedesimazione nel soggetto. Egli teme d’essere tradito sull’onore da chi meno c’aspetteremmo e dev’essere quindi calmato ,mentre chi spettegola su codeste vite e vuole scoprire i segreti dei conviventi nella stessa stanza è Monica , che Valentina Picello pone in deprecabile risalto con la sua confusionaria ,inconcludente, velleità approssimativa. Siamo pertanto di fronte ad un caleidoscopio di sensazioni, palpiti emotivi e disincanti smaccati di tante belle speranze ed ambizioni ,del crollo di preziosi piani e progetti giovanili, che fanno precipitare i 5 personaggi in un’ingenuità di fondo tra mille rimpianti per l’occasioni non sfruttate e desideri irrealizzati, equivoci esistenziali suscitati con l’incomprensione di colleghi ed i più geniali amici. Insomma l’autore ha confermato con questo copione, desunto dalla piatta e monotona vita quotidiana “di routine”, d’essere uno tra i più prolifici e romantici studiosi della natura umana e delle relazioni interpersonali della drammaturgia della terra e nazione di papa Francesco nell’età contemporanea, la cosiddetta “ Nouvelle Vague” del Rio de la Plata che bagna la città che s’identifica con la “Casa Rosada”, il “Cabildo” ed il teatro “Colon”, la “Recoleta” ed il quartiere “Palermo” ove risiedono gli immigrati italiani, che si lasciano cullare anche loro ormai dal sublime e seducente tango passionale. La verità dell’apparato burocratico a regime, su cui è uscito un bellissimo film storico che sta tentando di cancellare l’orribile periodo di Videla ed Alfonsin per il ristabilimento della giustizia ed il saldo del debito civile dovuto all’onore delle vittime del regime dittatoriale, è riecheggiata pure nella commedia “I due Papi”, Bergoglio e Ratzinger i protagonisti con gli stupendi interpreti Giorgio Colangeli e Mariano Regillo nei loro panni, perdonandosi mutuamente la copertura permissiva data alla pederastia dei sacerdoti dal defunto Pontefice alemanno quando era Vescovo di Monaco in Baviera e la sudditanza al potere dell’attuale Vicario di Cristo con la mancata tutela e protezione di tutto il clero, specialmente quello più progressista di Buenos Aires. In 80 minuti c’è stata riservata un’entità indefinita di commoventi e comiche battute, quale quella di Sandra che ritiene che il giorno dopo sia domenica ed i compagni di stanza devono rammentarle che sarà solo giovedì, essendo a metà settimana. I costumi borghesi di scena erano di Giada Masi e le luci di Claudio De Pace, mentre il medesimo Tolcachir per la censura di certa macchina statale e lo scavo psicologico dei tipi umani da lui creati, s’è tenuta la regia dello spettacolo, che ha suggellato alla grande la stagione di prosa dell’Argentina.
Giancarlo Lungarini