Al Teatro Franco Parenti di Milano
Con puntuale omaggio e affettuoso ricordo per il centenario della nascita di Giovanni Testori, il Teatro Franco Parenti ha ripreso, purtroppo per sole tre serate, il lacerante Cleopatràs, monologo che fa toccare con disperata passione la forza travolgente dell’amore. Uno spettacolo ideato e diretto da Valter Malosti, nato per il Progetto Testori nel 2020, prodotto dal Teatro Piemonte Europa in collaborazione con l’Associazione Giovanni Testori. Cleopatràs, assieme a Erodiàs e Mater Strangosciàs, è parte de I Tre Lai, ultima testimonianza del drammaturgo di Novate Milanese, che si congeda con questo trittico, apice e summa della creatività del suo linguaggio. In Cleopatràs che piange Antonio, “il suo Tugnàs” non è difficile scorgere lo stesso Testori che dolorosamente racconta, mettendo in luce con struggenti turbamenti della sua anima, il mistero della vita e dell’amore. Come suo solito, trasporta la vicenda narrata, collocandola da un Egitto classico ormai sbiadito in un più concreto e identificabile paesaggio lombardo-brianzolo, a lui ben conosciuto e particolarmente caro. Di Cleopatra, dopo aver mostrato la conosciuta insaziabile brama erotica, ci mostra i carismatici tratti della dominatrice e diva, non trascurando indubbie capacità imprenditoriali di vera e poliedrica donna contemporanea. Rivestito il suo dire di geniali creazioni linguistiche che, oltre a tendere spasmodicamente a far poesia, non mai sono disgiunte da una sottile quanto disincantata vena ironica. Torna anche qui, insistito rimando sempre presente nei lavori di Testori, di una vita non richiesta e ribadito nel violento finale: quasi grido imprecante al Creatore. Anna Della Rosa da della lussuriosa regina un’interpretazione molto terragna, nella sua dimensione sensuale: per niente allusiva o astratta, non gioca col verso testoriano, lo vive fisicamente e lo fa con piena immedesimazione. Notevole impegno recitativo che si riverbera in conturbanti movenze sceniche, atteggiamenti e pose divistiche (un po’ Callas) e in squarci di canto del par fascinanti e di precisa padronanza. Struggente nella veemenza di attrice che sfrutta i registri di una variegata voce, nei repentini cambi di tono: dai timbri scuri e melliflui iniziali a quelli flautati e acuti e allegri quasi, a quelli struggenti e desolati di anima degradata fino all’infima disillusione, nel finale sfinimento della morte. Dispiega la duplicità del desiderio e bramosia femminile (ma ancor quello di tanti cuori) che serpeggia tra Eros e Thanatos, raggiungendo punte d’intensa drammaticità nel momento della reiterazione, al presentato cestino, con la morte. Aron Tewelde è la vitale, ancorché muta, presenza saltimbanesca e sensual dionisiaca del garzonetto. Regia intelligente di Valter Malosti che coniuga, in una scena allusiva ma concreta, i continui rimandi tra passato e presente, fra immaginifici sfondi dell’anima e l’asetticità di un moderno interno. Funzionali scene e preziose luci di Nicolas Bovey, belli i costumi di Gianluca Sbicca e sapiente cura del movimento di Marco Angelilli. Progetto sonoro Gup Alcaro intessuto di sonorità egiziache vecchie e nuove, con vistosi rimandi all’opera lirica (Madama Butterfly e Turandot). Successo calorosissimo per la Della Rosa, richiamata in scena da ripetuti applausi.
gF. Previtali Rosti