Pesaro, ROF 2023 – 13 agosto 2023
Adelaide di Borgogna si vide vivere e morire nella stessa sera nel Teatro Argentina di Roma il 27 dicembre 1817, per poin subito scomparire. La compagnia di canto era modesta, ma fu il libretto di Giovanni Schmidt causa dell’insuccesso, testo infarcito di licenze cronologiche e geografiche, sovrapposto all’ossessione di condensare la vicenda che lo porta a sbrigative inverosimiglianze. Il Rossini Opera Festival ha posto Adelaide di Borgogna quale terza opera della stagione 2023, riproponendola nell’edizione critica curata da Alberto Zedda e Gabriele Gravagna, frutto di studio e comparazione del materiale compositivo sparso per il mondo. Nuova la produzione, affidata alle cure del regista Arnaud Bernard, scene di Alessandro Camera, costumi Maria Carla Ricotti e luci di Fiammetta Baldiserri. Il regista, pensando creare un’atmosfera pirandelliana, immagina un work in progress, in cui sovrappone le passioni dei personaggi storici ai sentimenti che agitano i cantanti chiamati a interpretarli. Idea di “teatro nel teatro” non certo originale che non vivifica i personaggi – alla lunga banali e stereotipati – pur in considerazione della carente psicologia umana del libretto. Risolve sì, agilmente i repentini cambi di scena ma, rotta la quarta parete, non si entra in nessuna dimensione definitiva, restando in un limbo teatrale: né dentro né fuori, con un eccesso d’inutili movimenti a vista che, sovrapponendosi a musica e canto, finiscono con l’ astrarre dal godimento. Stare a guardare (la musica trasporta) vuol dire restare ancorati a terra, privati della magia immaginativa del teatro. I cantanti fan del loro meglio, ma le pose sono stucchevoli, non molto credibili nelle vicende amorose: quei continui ammicchi, maldestri giochi a suscitar gelosia fra gli interpreti, è inane sovrapposizione alla vicenda storica. Ma suppliscono musica e canto a proiettare, con prodigioso envole, lo spettatore nell’immaginifica astrazione teatrale, nel fantastico di una dimensione altra. Vibrante il ritmo tenuto dal Maestro Francesco Lanzillotta a guida dell’ottima e trasparente Orchestra RAI, dal suono pieno ed omogeneo. Il Direttore sottolinea con cura le pagine della partitura, ricerca rarefatte atmosfere (scena con corni in Oh cara immagine), andamenti sinuosi al duetto Sempre altare ov’io t’adori di estenuata bellezza. Sciorina belle finezze cui risponde prontamente l’orchestra, in plastica morbidezza. Adelaide era Olga Peretyatko dall’ottima musicalità e intonazione, non facendo mistero del poco spessore dei suoi bassi. In Dio che m’armi mostra subito la qualità dell’interprete, con patetici accenti e attraenti mezze voci. Occhi miei piangeste assai – Oh cara immagine e la voce imita il pianto in una pulizia di attacchi di un canto soffuso e impregnato di patetismo; il soprano smorza e amplia il suono salendo ad acuti sicuri. Finalmente nessun movimento in scena! a turbar questo estatico momento, di sognante ed eterea sospensione, dal prezioso andamento musicale e purezza di canto. Ah, vanne – Cingi la benda candida gran scena verso il rapido finale, resa dalla Peretyatko in voluta lentezza di tempi a sbalzare la bellezza musicale; cabaletta a prezioso saggio belcantistico (coro in quinta, a lasciar tutta sua la scena) con aggiunta di preziose variazioni. Gustosa attrice, dalla divertente gestualità “pososa”, da primadonna ironica, di cartone, su quel fondale dipinto che esalta l’attimo. Salutata da un’ovazione. Varduhi Abrahamyan era un misurato Ottone. Voce contraltile dal colore chiaro, centri timbrati (inizialmente vagamente velati) sale con facilità in acuto; sempre morbido l’approccio alla fonazione, in compiaciuto sciorinamento di suoni, omogenea nella coloratura. Fraseggiatrice efficace, anche se resta in superficie, senza un reale affondo della parola: non vibrante ma comunque autorevole. Con O sacra alla virtù/Soffri la tua sventura fa marziale ingresso, per passare con sicurezza a Vive Adelaide (magnificamente sottolineato da Lanzillotta) ed essere molto efficace in Mi dai corona e vita/Che difensor ti sono, gioioso duetto. Assieme le due primedonne hanno offerto nei duetti alcuni dei momenti migliori della serata. In O degl’itali regnanti sfoggia aulica regalità avanti quell’architettura gotica sull’altare, e in Cara ma, ch’io stringo e premo mostra bravura belcantistica nel duetto con Adelaide (e concorso esterno dei due felloni) a incorniciare la grandezza del solenne momento. Nel finale Vieni, tuo sposo e amante distende la voce a dispiegare le sue migliori caratteristiche timbriche. E si prende la scena. Scene dipinte la fan ora da padrone, occupando per intero il largo palcoscenico dell’Arena (come forse sarebbe dovuto esser fin dall’inizio), fascinose di alto e meraviglioso artigianato, di grandioso effetto gotico. Adelberto impersonato da René Barbera, mostra bel timbro, dizione chiara e voce ben proiettata che si espande in Della tua patria ai voti rimarchevole per squillanti acuti e saldi, (cui risponde vibrante Adelaide con Vanne Oh rossore! Al tradimento) mostra vocalità personale e piacevole, in sapido e variegato canto. Nella successiva gran scena Figlio sono io – Grida, o natura offre bella prova di fraseggiatore diagli accenti accorati e di passione in sicura e scorrevole vocalizzazione a voce piena; nella successiva cabaletta, in alternanza di stati d’animo, conclude con svettante acuto. Berengario era Riccardo Fassi dal bel colore scuro pieno ed omogeneo , timbra con sapienza la possente voce con accenti autoritari e imperativi in Se protegge amica sorte, oltre ad sagace interprete nel resto dell’opera, rimarcando il fiero orgoglio del bieco personaggio senza cedere alla cattiveria. Paola Leoci, Eurice nobilitata da Si, si, mi svena la rende in maniera pregevole, con grande immedesimazione nel ruolo. Degno di nota il costume. L’Iroldo di Valery Makarov ha voce corta, che non corre, pur di gradevole timbro. Corretto Ernesto di Antonio Mandrillo. Da citare la bravura e l’estro di Michele D’Elia al fortepiano, in scena. Efficace il Coro Del Teatro Ventidio Basso, per come ha reso l’oasi di pace O ritiro, che soggiorno. Caloroso successo, sottolineato da meritato entusiasmo per le due primedonne e il Maestro Lanzillotta.
gF. Previtali Rosti